Mar 8, 2006
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La Sassari in Iraq, una tenace offensiva umanitaria

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pubblicato da Pagine di Difesa l’8 marzo 2006

“Grazie per l’assistenza alle Forze armate irachene e per l’aiuto fornito al popolo in termini di libertà”. Per il generale Babkir Zibabi, capo di stato maggiore della Difesa iracheno, la visita del collega italiano ammiraglio Giampaolo Di Paola all’Italian Joint Task Force dello scorso 6 marzo è stata l’occasione per esprimere la gratitudine per il lavoro svolto dai militari italiani. L’assistenza alle Forze armate irachene è uno dei punti cardine per la crescita dell’autonomia del paese. “Il dipartimento Security Sector Reform (Ssr) – spiega il colonnello Renato Perrotti, capo dipartimento Ssr e vicecomandante dell’Italian Joint Task Force – ha come obiettivo quello di dare la capacità di responsabilità nella crescita, fornendo supporto tecnico, addestrativo e logistico alle forze di sicurezza irachene e agli enti governativi”.

Le forze di sicurezza sono costituite dall’esercito e dalla polizia “con una differenza sostanziale rispetto ai canoni occidentali – continua il colonnello Perrotti – che è l’assenza di una distinzione netta tra gli uni e gli altri. Ne deriva una situazione fluida proprio perché molti ufficiali della polizia provengono dall’esercito. In questa fase di crescita, comunque, questo non comporta difficoltà e in ogni caso alla base c’è sempre la formazione del soldato”. Gli addestramenti vengono svolti con i militari della brigata Sassari, in teatro iracheno dal 27 gennaio 2006 e comandati dal generale di brigata Natalino Madeddu con responsabilità operativa nell’area del Dhi Qar, con i carabinieri della Multinational Specialised Unit (Msu) e con gli ufficiali rumeni del contingente. “Maestri d’armi per quanto riguarda l’armamento ex sovietico ancora presente nella regione”, precisa il capo dipartimento Ssr.

Il 2 marzo scorso è stato costituito il 2° battaglione della 3^ brigata dell’Iraqi Army che è comandato dal generale Saad Ali Atti al Harbyah. Raggiungerà la piena operatività entro al fine di aprile seguendo il percorso formativo programmato dal Ssr: condotta di azioni congiunte con le forze di polizia in contesti urbani, tecniche di combattimento nei centri abitati, organizzazione e gestione di check-point, bonifica di ordigni esplosivi, operazioni di controllo del territorio e di mantenimento dell’ordine pubblico e della sicurezza. “Quando i nostri ufficiali di collegamento – sottolinea il colonnello Perrotti – lasciano il teatro operativo dopo aver seguito da vicino i colleghi iracheni per tutto l’addestramento si avverte il coinvolgimento emotivo che testimonia la forza del legame creatosi. I risultati raggiunti sono ottimi e il nostro intervento finalizzato a rendere autonomi i militari iracheni ha un riscontro positivo”.

Il dipartimento Ssr dipende direttamente dal comandante dell’Italian Joint Task Force, il generale di brigata Natalino Madeddu che si ritiene soddisfatto del lavoro svolto sempre sulla base della prerogativa di imparzialità che caratterizza gli interventi militari in teatro. Riconosce però la presenza del terrorismo, tanto che in occasione dell’attentato fallito ai danni della Msu lo scorso 28 febbraio ha dichiarato a poche ore dall’evento: “Il terrorismo è una minaccia imprevedibile che colpisce ciò che di buono viene fatto”. Il generale Madeddu, comandante della missione Antica Babilonia IX composta da circa 2.600 unità, ribadisce l’attività di supporto alla sicurezza rimasta inalterata da tre anni di missione con la finalità di far giungere a destinazione gli aiuti umanitari. Ma aggiunge un aspetto attuale indicatore della crescita verso l’autonomia del popolo iracheno: “Oggi sono presenti autorità locali con cui ci si relaziona, si tratta di riferimenti precisi con cui discutere le esigenze del territorio e con cui individuare sistemi di risposta ai bisogni nell’ottica di stimolo della crescita in termini di autorità”.

“La presenza di interlocutori privilegiati – gli fa eco il suo portavoce, il maggiore Marco Mele capo Pubblica informazione dell’Italian Joint Task Force – è una novità rispetto al passato. In Antica Babilonia II, cioè il precedente impiego della brigata Sassari nel Dhi Qar, gli interlocutori erano molteplici. Ora, invece, ci si relaziona con il Provincial Reconstruction Development Council (Prdc). Una commissione tecnica composta da vari dipartimenti che rappresenta un referente privilegiato per i nostri tecnici”. La costituzione del Prdc nell’aprile 2005 costituisce un passo avanti tangibile verso l’autonomia dell’autorità per il popolo iracheno. Ora è più facile individuare i bisogni e mettere in atto dei progetti specifici senza correre il rischio di non incontrare le aspettative della popolazione, che negli anni scorsi incolpava il contingente italiano della propria insoddisfazione.

La cellula che si occupa di valutare l’opportunità di piani e progetti, tecnicamente definita J9, fa capo al maggiore Domenico Tortora che traduce l’ordine del comandante al braccio operativo. “Il J9 si interfaccia con il Prdc – chiarisce il maggiore Tortora – che è l’organo del governatore. In questo modo si può ragionare insieme sui lavori da fare insieme”. Sembra un gioco di parole ma l’obiettivo di stimolare la popolazione a riconoscere bisogni e individuare soluzioni in modo autonomo è importante e prioritario per Antica Babilonia. “Di recente si è ragionato sul problema della dispersione di energia, ma anche la questione dell’irrigazione dei campi non è secondaria e in più rappresenta un settore di impiego che risolverebbe il problema lavoro a molte persone”. Circa tre settimane fa si è presentata una emergenza concreta che ha spinto il governatore a chiedere l’intervento del contingente: una alluvione aveva devastato Al-Islah, un paese di circa tremila persone. “Abbiamo acquistato in zona da ditte locali tonnellate di farina, zucchero e riso”, spiega il maggiore Tortora.

Il J9 coordina le Civil Military Operations (Cmo), per le ricerche di mercato e per l’acquisto di beni mobili, e la Civil Military Cooperation (Cimic), il braccio operativo che porta materialmente a destinazione gli aiuti umanitari. “Dal 27 gennaio – specifica il capitano Luca Di Fazio, comandante della task force Cimic – abbiamo effettuato 223 consegne di aiuti”. La task force Cimic è costituita da circa una ventina di unità e comprende ufficiali della riserva selezionata e ingegneri militari del Genio infrastrutture “che tirano le fila dei lavori”. Raccoglie le richieste di aiuto della popolazione tramite una reception che è il front desk del contingente e “riceve anche i curriculum degli iracheni che vogliono lavorare con noi”, spiega il capitano Di Fazio. “Su 230 richieste di intervento tre erano costituite dalla consegna di curriculum vitae di civili e una di una azienda intenzionata a lavorare con il contingente”.

Il Cimic opera sul territorio non solo in modo statico, come risulta essere la funzione della reception, ma anche con indagini sul territorio. L’assessment rappresenta la parte operativa che prende visione dell’area e valuta la fattibilità dei progetti, visita i cantieri e percorre le strade. “Da gennaio sono stati percorsi 2.500 chilometri e sono stati fatti 26 assessment, oltre a 56 visite in cantieri dove le aziende locali concretizzano i progetti formulati sulla base dei bisogni espressi e giudicati fattibili”. Nei cantieri la forza lavoro locale viene affiancata da personale italiano. “La finalità è di elevare il livello di cultura nel settore infrastrutturale – afferma il capitano Di Fazio – per dare aiuto, ma soprattutto per mettere a conoscenza la popolazione delle nuove tecnologie. Che poi è quello che ci viene chiesto più di tutto dai locali e per questo i nostri ingegneri tengono dei corsi ai colleghi iracheni”.

“Qui la gente – continua il responsabile del Cimic – ha una grande e dignitosa aspettativa nei nostri confronti: chiede informazioni per imparare nuove tecnologie ed è un aiuto per liberarsi dall’oppressione”. La reception non riceve solo richieste di aiuto, “ma anche ringraziamenti espressi con la consegna di fiori di plastica colorati accompagnati da lettere e fatti consegnare da bambini”. Le nuove tecnologie vengono portate in Iraq dal contingente italiano. “La cellula ingegneri – dice Di Fazio – sta seguendo lo sviluppo di tre settori prioritari che consentono alla popolazione di diventare autonoma: l’acqua, l’energia e le strade. Per la prima volta in questo mandato realizziamo la ricerca dell’acqua con un sistema di aspiraggio dai fiumi, che provvede a far sedimentare, clorizzare, rendere potabile, immagazzinare e inviare alla popolazione questo bene primario”.

“L’energia, poi, è ciò che permette all’industria di esistere. Dunque abbiamo realizzato due reti di distribuzione elettrica da circa 200 chilometri e stiamo introducendo nuove tecnologie con la possibilità di realizzare delle centrali di produzione di energia”. “Senza comunicazione non c’è sviluppo – continua il capitano Di Fazio – perciò realizziamo le strade per mettere in comunicazione i villaggi più lontani con i centri di distribuzione dell’acqua a loro più prossimi”. Diciotto cantieri sono stati conclusi: tre scuole e cinque centri di pronto soccorso. Sono in costruzione altre tre scuole e sono stati spesi finora un milione e 500mila euro di fondi interamente italiani del secondo semestre 2005. Per il primo semestre 2006 sono stati stanziati quattro milioni di euro.

Ma nel bilancio delle richieste di intervento mancano tre numeri: “Alla reception sono giunte anche tre richieste di visite mediche nel nostro ospedale da campo” precisa Di Fazio tirando le somme di una attività civile-militare che tra gli aiuti umanitari include anche il trasferimento in Italia di cinque casi bisognosi di cure mediche. E’ proprio in questi giorni che Alham, una bambina di quattro anni, viene sottoposta a intervento chirurgico in una struttura modenese. Alham soffre di una cardiopatia congenita e il suo caso è stato considerato troppo grave per poter essere curato in Iraq. I medici dell’ospedale da campo italiano hanno confermato le condizioni preoccupanti della bambina che è partita a bordo di un C-130J dell’Aeronautica Militare nei primi giorni di marzo.

“La nostra attività è finalizzata al sostegno del personale del contingente – spiega il direttore dell’ospedale da campo italiano tenente colonnello Enzo Ferrante – ma si seguono casi di civili anche se in modo selezionato e secondo una priorità valutata sulla base del cosiddetto triage”. L’ospedale da campo italiano ha due sale operatorie e due posti letto per terapia intensiva. Il personale è composto da quattro chirurghi, due anestesisti e un ortopedico. “Abbiamo il supporto della telemedicina – spiega il direttore Ferrante – con il policlinico del Celio”.

A sostegno dei militari del contingente, in questo caso con una valenza psicologica, c’è anche uno strumento militare all’avanguardia. “Una risorsa preziosa – spiega il maggiore Mele introducendo il responsabile per l’impiego del Predator – che è uno strumento per la pace”. Il colonnello pilota Ludovico Chianese è Air Component Commander dell’assetto Predator, il sistema di ricognizione con velivolo a pilotaggio remoto. “E’ un sistema che ha funzioni di supporto al personale della brigata e alla popolazione – spiega – ed è assimilabile a un aereo guidato da terra con antenne e via satellite. Si tratta di un ricognitore ad altissima tecnologia: l’Italia è all’avanguardia e condivide la stessa posizione con gli Usa, da cui ha acquistato il Predator”.

A fine febbraio il sistema è stato ulteriormente adeguato con un apparato che recepisce il segnale video proveniente dal velivolo e lo riporta su un computer a terra in tempo reale. E’ stato chiamato Rover II (Receive Only Video Enhance Receiver) e permette a un operatore sul terreno di visualizzare le riprese aeree. “Una estensione del Predator utile a chi si muove al suolo”. Maggiore sicurezza psicologica per le truppe sul terreno, dunque, e la possibilità di creare delle mappe dall’alto di vaste zone. “Il velivolo è in prontezza tutto il giorno e tutto l’anno” conclude il colonnello Chianese.

Circa tre settimane fa il comandante generale Madeddu, raccogliendo le richieste del governatore, ne ha deciso l’impiego per l’alluvione che ha colpito l’area. Il Predator si è alzato in volo consentendo una mappatura precisa della situazione e un migliore coordinamento degli interventi da terra. E anche questo fa parte dell’ ”aiuto fornito al popolo in termini di libertà” a cui ha fatto riferimento il capo di stato maggiore della Difesa iracheno lo scorso 6 marzo.

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