Nov 14, 2004
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Goradzevac, protected area serba, quasi una prigione

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pubblicato da Pagine di Difesa il 14 novembre 2004

Il villaggio di Goradzevac si trova a poca distanza da Belo Polje, andando verso est. E’ una enclave composta da circa seicento famiglie serbe. La strada che lo attraversa è percorsa con frequenza dalla popolazione locale, che è di maggioranza albanese. Ogni macchina che passa per il villaggio deve fermarsi al check-point: Goradzevac è una protected area, segnalata con cartelli blu. Significa che se si verifica qualche disordine può essere trasformata dal comandante della Brigata in restricted area, dove ai militari è consentito l’uso delle armi.

“Se di sera non passa la macchina della Kfor – spiega Slobodan Petrovic, sindaco di questa enclave – i miei familiari non riescono ad addormentarsi. E la mia famiglia non è una eccezione”. L’ufficio di Petrovic si trova nella piazza centrale, in uno scenario che ricorda l’Italia degli anni Cinquanta. Pochi lampioni e l’odore della campagna intorno. In cielo volteggiano rumorosi gli uccelli neri che danno il nome a questa terra e un paio di ragazze giocano a rincorrersi davanti agli occhi di un anziano seduto sulla porta della cucina.

“I serbi – afferma il sindaco – possono coltivare solamente il quaranta per cento dei loro campi. In pratica, solo quelli inclusi nell’area controllata dai militari della Kfor”. Petrovic è un fiume in piena. Non fa pause quando parla e costringe il giovane interprete a rincorrere le parole. “Ci sentiamo sicuri solo perché la Kfor ci controlla 24 ore su 24: se non ci fossero questi militari avremmo molti problemi. Grazie a loro possiamo procurarci i medicinali che ci servono, dato che non è possibile uscire da soli per acquistarli”.

Anche un ricovero in ospedale diventa un problema. L’interprete, che abita con la famiglia in questa enclave da meno di tre anni, ha fatto nascere il figlio un anno e mezzo fa all’ospedale di Belgrado, in Serbia. “Questa non è una vita tollerabile, diventiamo matti” spiega il sindaco e l’interprete traduce annuendo. “Ci manca la libertà di movimento – prosegue Petrovic – e riusciamo a mantenere i contatti con Mitrovica nord (area serba, ndr) solamente grazie a un bus che passa due volte a settimana. Per fare acquisti dobbiamo andare in Serbia o fare affidamento su amici”.

Petrovic è andato a votare lo scorso 23 ottobre. Crede nell’attività politica e si aspetta che la legge venga rafforzata: “Le persone che infrangono la legge vanno punite. E’ evidente che la storia si ripete, noi comunque non neghiamo le nostre responsabilità”. Prima della guerra lavorava a Pec-Peja in un ufficio di trasporti pubblici “ma dal ’99 l’economia è ferma e le fabbriche non funzionano”. L’impresa dava impiego a seicento persone, di maggioranza albanesi, e Petrovic era uno dei quadri aziendali. “Ma erano altri tempi – ricorda il sindaco – e davvero preferirei che i serbi vivessero oggi come gli albanesi all’epoca di Milosevic”.

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