Gen 2, 2012
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Ministro Di Paola, la prego, sia innovativo

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By L’Anacoreta

Leggendo le recenti dichiarazioni del ministro della Difesa dall’articolo del Messaggero del 29 dicembre 2011, sono rimasto un po’ deluso dalla sbiadita ricetta indicata dall’ammiraglio per rivitalizzare la nostra Difesa.

In realtà, visto i roboanti proclami del nostro prussianissimo primo ministro (“manovra salvaitalia” e “manovra crescitalia”), speravo di poter veder spuntare qualche idea nuova che consentisse di adeguare anche il ministero della Difesa al solco del rinnovamento e della rinascita tracciato dall’odierno novello Cincinnato (emulo del Lucio Quinzio che mantenne integra la Repubblica sventando il tentativo di golpe di Spurio Melio – cicli e ricicli storici), ma invece la terapia proposta si è rivelata la solita riciclata dichiarazione: vendita delle caserme e tagli di personale!!!!! Però, che fantasia!!!!

Il ministro se la prende con le amministrazioni comunali che sono lente ad approvare i piani regolatori e a dare le necessarie autorizzazioni, lasciando che caserme e strutture militari, da gioielli idonei a riconversioni ad uso delle comunità, si trasformino in fatiscenti strutture abbandonate.

Per gli esuberi di personale (i troppi ultracinquantenni che popolano il suo dicastero), invece, la colpa è della dirigenza politica che non ha saputo trovare i fondi per mantenere quella struttura militare, delineata nel fantomatico sistema definito “modello 2000” (struttura concepita dai militari in assenza di indicazioni di carattere politico, anche vaghe) che i politici se mai lo avevano visto e valutato nelle implicazioni, sicuramente, non avevano compreso che il giocattolo andasse non solo usato ai fini elettorali, ma anche finanziato.

Insomma il solito ritornello “la colpa è dei politici e non nostra; se le caserme nessuno le vuole e se abbiamo troppe persone non è colpa nostra”.

Vorrei a questo punto esprimere alcune considerazioni su questa presa di posizione un po’ retrò del signor ministro.

Diamo un’occhiatina al settore “immobiliare” della difesa. Esso è composto da una serie di edifici storici (quasi tutti nel centro di grosse città), di vetusti complessi infrastrutturali (caserme ricavate da ex-conventi ed ex-ospedali risalenti alla seconda metà del XIX secolo), strutture costruite nel periodo post-unitario sino al primo dopoguerra (molte nel pieno centro di città), e infine caserme costruite nel periodo che va dagli anni ‘70 a oggi (per la maggior parte abbandonate perché costruite nel posto sbagliato – dato che il maggior bacino di reclutamento è nel centro e sud Italia allora le caserme non possono essere nel nord!!!).

Mi rendo conto che non sia facile disfarsi di un complesso di strutture così variegato e complesso, anche perché, se magari un palazzo o un’area di grande dimensioni (e quindi di grandi possibilità di trasformazione) situati nel centro storico di Milano possano essere facilmente appetibili e quindi vendibili, una caserma nel mezzo del niente, lontana cioè da centri abitati o attività produttive (ce ne sono a manciate nel nord del nostro paese), non interessa a nessuno.

Quale società investirebbe in un’area lontana da tutto cercando di riconfigurare una struttura partendo da zero e accollandosi gli oneri di una spesa enorme (prima di costruire bisogna smantellare e smaltire!!!!!!!) per un’area che è al di fuori di interessi economici e o sociali? Non dimentichiamoci che necessità sacrosante di sicurezza, difesa, spazio e distanza da altre strutture hanno, nel corso degli anni, portato le varie amministrazioni comunali a orientare i loro piani di sviluppo in aree lontane dalle caserme e quindi a isolarle dapprima, e a renderle inutili adesso come aree di sviluppo.

Se poi la disponibilità di queste strutture è legata alle vicende altalenanti della chiusura di un ente o meno e questo processo si trascina per vent’anni con un nulla di fatto, non saprei dare torto a una amministrazione civica o a una società che, non riuscendo a ottenere risposte precise e offerte chiare, si orienta da un’altra parte (a La Spezia, tanto per citare un esempio, vi sono una serie di edifici militari privi di utilizzo, che se una volta avevano costituito l’oggetto di interesse per la loro riconversione, adesso sono lì come cisti scomode in un contesto che non sa più cosa farsene – tanto per essere chiari e citarne alcune: il complesso che si estende dalla zona del Porto Lotti sino ai cantieri della Finmeccanica, o la caserma Duca degli Abruzzi davanti alla sede del comando della Marina).

Mi rendo conto che la situazione sia sicuramente difficile e una soluzione immediata e magica sicuramente non esista!

Ma le cause di questo incubo infrastrutturale vanno ricercate in una politica di trasformazione delle forze armate fatta senza un’idea consolidata e concreta degli obiettivi da raggiungere, privilegiando, nello spostare il baricentro a sud, non tanto reali politiche di rapporto tra il costo e l’efficacia (sedi nuove o appena ristrutturate abbandonate per strutture fatiscenti o al più al limite della abitabilità che sono state ristrutturate con sistema “patchwork”), ma, piuttosto, interessi connessi a fattori non operativi (minacce di invasioni della penisola non ne sono mai esistite, ma se il bacino di reclutamento è al centro sud e isole, e lo faccio rimanere lì portandogli gli enti, allora questo coincide con una riserva di voti elettorali che fanno sempre comodo a tutti!!).

Quindi, signor ministro, prima di vendere pensiamo dove vendere e cosa vendere, magari cedendo subito i gioielli di famiglia prima che si deprezzino (che so, forse si potrebbe cominciare da quattro scuole militari che sono in splendidi palazzi nel centro delle nostre più belle città, che solo di manutenzione ci costano, a noi contribuenti, un occhio della testa e producono un prodotto che proprio indispensabile non lo definirei – con buona pace della associazione nazionale ex allievi!!!), ma cercando anche di vedere al di là del momento e chiedere un minimo di chiarezza politica (magari, sa, siete tutti tecnici nel governo di Cincinnato e forse vi potete intendere meglio!) su cosa il Paese vuole dalle sue forze armate.

Per quanto riguarda il secondo punto, per cui le forze armate hanno un tasso geriatrico troppo elevato, anche qui avrei delle perplessità riguardo alla soluzione individuata.

Sono concorde nel fatto che vista la crisi, i posti dove parcheggiare qualche militare in età avanzata scarseggino. Per i generali il problema è grave, ma imprese pubbliche (Otomelara, Fincantieri) e sedi istituzionali (Corte dei Conti e Parlamento) costituiscono un ottimo punto di appoggio e alleviano un po’ il problema, che comunque rimane serio.

Ma il vero dilemma è dove mettere tutta una serie di quadri che, arruolati negli anni passati con le più varie forme, adesso sono invecchiati e costituiscono il reale problema dello snellimento della Difesa.

Ora, signor ministro, vorrei sapere con il programma di lacrime e sangue di Cincinnato, pur con tutta la fiducia e la serenità richiesta da Re Giorgio (nella sua condizione di quasi pensionato d’oro ci vuole anche del coraggio a non avere fiducia e serenità), quale ministero si vorrà accollare lo stuolo di esemplari geriatrici che stanno sul gobbo (e sul libro paga) del dicastero da lei diretto? Penso proprio nessuno!!!!!!!!!!!

Fermo restando che lo svecchiamento si debba fare, vedrei magari più percorribili altre soluzioni.

La prima è quella di proporre l’immissione di queste persone in esubero anagrafico verso enti e strutture sovranazionali (ONU, FAO, EU ecc. ecc.), come fanno tanti altri paesi europei che supportano le candidature di rappresentanti delle loro forze armate (e non di rampolli di buona famiglia o clientes di partito come facciamo noi) per posti di esperti, collaboratori, consulenti qualificati, facilitando così l’osmosi con strutture che oramai sono divenute partner fondamentali (anche se non graditi o compresi, spesso) nelle nostre operazioni d’oltremare.

Un’altra possibilità potrebbe essere quella di alimentare con tali esemplari geriatrici il ruolo del personale civile della Difesa, magari sostituendo in tanti casi con personale più maturo ed esperto dei militari, ancora giovani, che ricoprono dei ruoli di ufficio e che sarebbero stati reclutati per fare altro.

Anche qui non esistono soluzioni magiche e la strada da percorrere è difficile, quindi non voglio assolutamente passare per esperto che dà soluzioni ex cathedra, me ne guardo bene; ciò che ho detto sono solo spunti di riflessione di un comune cittadino che ha spesso collaborato con il mondo con le stellette e che ne serba comunque un profondo rispetto, anche se magari non ne condivide alcuni aspetti.

Ma, signor ministro, lei è un tecnico in un governo di tecnici, senza ambizioni di iniziare un successivo cursus honorum in politica, quindi è nelle migliori condizioni per poter osare quello che chi lo ha preceduto non poteva fare.

Non ha vincoli politici e deve rendere ragione delle sue azioni di ministro tecnico esclusivamente alla sua coscienza e alla sua competenza specifica, non ha un segretario di partito o un collegio elettorale a cui rendere conto.

Quindi, signor ministro, osi e sia innovativo, non si nasconda dietro un dito proponendo delle soluzioni trite e ritrite che, anche lei, nel suo profondo sa che non sono sostenibili.

Non ha la bacchetta magica, è sicuro, e i miracoli non li può fare. Quello che invece può e deve fare è legare lo sviluppo – anche riduttivo – delle forze armate agli obiettivi che il nostro paese intende conseguire nel futuro, definendo come le forze armate debbano essere strutturate, per sostenere e facilitare il conseguimento di tali obiettivi.

L’Anacoreta

Foto: infophoto/tmnews.it

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Forze Armate