Feb 23, 2012
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Marò, che ingiustizia

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By L’Anacoreta

In questi giorni, nonostante la limitata visibilità concessa all’evento dai media, ho seguito con molta attenzione gli sviluppi della faccenda diplomatica che vede il nostro Paese coinvolto con l’India.

Sebbene il tutto appaia come un fatto dai contorni quasi irreali, sono stato scosso emotivamente da un crescendo di sentimenti che, dopo un iniziale stupore, si sono mutati in rabbia, per poi trasformarsi in vergogna e cedere alla fine il posto alla delusione.

Ho provato stupore quando ho appreso che dei rappresentanti delle nostre forze armate, durante l’espletamento del loro servizio, erano stati arrestati da un paese straniero, perché non avrei mai pensato che, anche un paese pavido come il nostro, potesse arrivare a così tale forma di viltà!

Consentire che un nostro militare possa essere arrestato a seguito delle conseguenze derivanti dall’espletamento di un compito che il nostro stesso stato gli aveva ordinato di adempiere, mi sembrava incredibile anche per noi.

Eppure abbiamo superato noi stessi e siamo stati capaci di tanto!

Il mio stupore si è trasformato in rabbia perché ho visto due militari italiani, in divisa, nelle mani di una potenza straniera.

Non erano stati catturati durante un’azione militare, o fatti prigionieri, perché sopraffatti e vinti da un nemico troppo superiore a loro. No, erano stati consegnati dal nostro stesso governo nelle mani di un’autorità straniera. Erano stati vigliaccamente traditi e abbandonati nelle mani di un’autorità straniera perché unicamente colpevoli di avere svolto il loro compito.

Non discuto se i due militari siano innocenti o colpevoli dei fatti che vengono loro addebitati, e neanche mi interessa al momento come cittadino, quello che mi fa rabbia è che la loro innocenza, o eventuale colpevolezza, non venga a essere accertata da un giudice italiano, ma sia stata delegata a un giudice straniero.

Dal momento che, per un atto di esplicita volontà e determinazione politica, il nostro paese li ha mandati lì, ha ordinato loro di svolgere quel compito, ha stabilito le regole alle quali essi dovevano attenersi e che dovevano rispettare, adesso è imperativo che sia il nostro paese a stabilire se essi abbiano agito correttamente o meno, punendoli se hanno sbagliato, ma congratulandosi con loro se hanno agito secondo le regole.

Ma noi invece abbiamo abiurato al diritto di giudicare l’operato dei rappresentanti delle nostre forze armate, lasciando a uno stato straniero il compito di assumersi la responsabilità che noi non vogliamo assumerci. Splendido esempio di coerenza politica e di dignità nazionale.

Questa rabbia si è trasformata in un senso di vergogna quando ho riflettuto sul modo in cui il nostro paese si presenta ancora una volta sulla scena internazionale.

Quale credibilità può avere uno stato che non è in grado di imporsi per la tutela dei propri interessi, che non vuole assumersi le responsabilità che possono derivare da una presa di posizione forte e decisa, che non è capace di sostenere la propria credibilità, che rifiuta di agire con determinazione?

Quale stima possono avere altri paesi di uno come il nostro che non è in grado di garantire la minima tutela dei suoi rappresentati ufficiali quando li impiega per il conseguimento dei suoi obiettivi e poi li abbandona?

Per carità, intendiamoci, non voglio affermare che si dovesse arrivare allo scontro diretto con l’India, ma neanche posso accettare l’ignavia del nostro ministero degli Esteri nel sostenere una soluzione di questo tipo e l’asettica acquiescenza del nostro rappresentante diplomatico e del nostro addetto militare nel porla in atto in loco.

Ma questa gente non si vergogna?

Se non sanno o non hanno il coraggio di agire diversamente per tutelare l’immagine del paese e la dignità delle persone che, vestendo una divisa con orgoglio e professionalità, servono questo paese, allora che se ne vadano a casa!

La delusione che mi ha infine pervaso deriva da due considerazioni ugualmente amare.

La prima, che, ancora una volta, il nostro governo ha adottato un provvedimento sgangherato e privo di una qualsiasi struttura funzionale, che tutela interessi privati e di bottega (alcuni armatori e alcuni settori) mascherando il tutto come un interesse nazionale.

Mi spiego meglio. La tutela dei nostri interessi, nel caso specifico le rotte commerciali, ci deve essere assolutamente, ma non può essere risolta con provvedimenti da far west tipo la scorta alla diligenza, dove il tutto viene scaricato sulle spalle di uno sparuto gruppo di uomini buttati su alcune navi alla rinfusa e lasciati in balia di loro stessi senza nessun quadro normativo che li tuteli.

Se tale quadro che deve garantire i nostri uomini non c’è, o è confuso, allora lo si crea o lo si chiarisce, legiferando e adottando tutti i provvedimenti che si ritengono necessari prima di avventurarsi nella solita farsa italiana.

Inoltre vorrei capire perché prima di ricorrere a queste misure, che hanno un po’ il sapore della disperazione data dal non avere un’idea chiara di come affrontare un problema, non è stato chiesto agli armatori italiani di adottare tutte le necessarie forme di protezione passiva delle loro navi (si veda ad esempi la costituzione di rifugi o caveau che su navi battenti altre bandiere hanno permesso di scongiurare e vanificare i sequestri).

Ovviamente rivolgersi allo stato, magari sfruttando una conoscenza o un gruppo di pressione clientelare, per vedere risolto il proprio problema è molto più facile, non espone a responsabilità e soprattutto consente di non intaccare il proprio portafoglio perché l’aiuto dello stato, se non è gratuito, è sicuramente concesso a un costo irrisorio rispetto ad altri sistemi.

La seconda considerazione deriva, invece, dalla conferma che ancora una volta non esiste alcuna visione politica che definisca gli strumenti che debbano supportare il ruolo che il nostro paese vuole avere sulla scena internazionale.

Il nostro Super Mario ha ingaggiato una battaglia titanica per conseguire il risanamento dei conti pubblici e permettere al paese di non affondare, e in tale quadro il Ministro della Difesa ha recentemente presentato un nuovo (ennesimo) modello di difesa, in cui promette tagli, riduzioni e quindi i risparmi tanto necessari, garantendo una migliore efficienza dello strumento militare.

Ma non c’è nessun cenno a un ridimensionamento dei compiti, a una ridefinizione del nostro livello di ambizione nazionale derivante da uno strumento militare ridotto!

Allora posso ridurre e risparmiare quanto voglio ma se poi non ho gli strumenti per fare quello che mi si chiede, bisogna avere il coraggio di alzare la mano e dire “No, questo compito le forze armate non lo possono fare”.

La situazione reale è che lo strumento militare che abbiamo, conseguenza di tagli e di riordinamenti fatti senza alcuna connessione con gli obiettivi strategici del paese, non ci consente di salvaguardare e proteggere adeguatamente le navi che battono le rotte commerciali critiche per il paese.

Negando l’evidenza, allora, viene escogitata la solita genialata italica talmente ridicola che stonerebbe pure in un film di Rin Tin Tin, ma che noi riteniamo invece una brillante soluzione: mandare sulle nostre navi mercantili (alcune, non tutte!, solo alcune e ben selezionate a seconda degli armatori!!!!) un manipolo di marinai.

Ora, questi poveretti, che nelle pie intenzioni dei nostri vertici militari e politici avrebbero dovuto garantire la sicurezza dei nostri bastimenti, sono stati traditi e abbandonati nel momento in cui hanno fatto il lavoro per il quale erano stati messi lì.

Come al solito il paese esce con un’immagine pietosa: infatti, riprendendo le parole di un noto comico, “abbiamo tirato fuori le palle, gli abbiamo dato una bella spolveratina e le abbiamo rimesse dentro”. Bravi, siamo proprio bravi!

Concludo dicendo che, forse, piuttosto che un nuovo modello di difesa, a noi serva un modello di esempio da parte dei vertici politici e militari del nostro paese. È vero, risanare l’economia è fondamentale, ma un paese con una economia in ripresa, che cosa può essere se gli manca la dignità di tutelare i propri interessi internazionali, la propria immagine e le proprie forze armate?

L’Anacoreta

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Foto: lastampa.it

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Forze Armate · Vicino Oriente