Dic 3, 2013
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Gli interessi statunitensi in Asia Centrale: storia recente e partnership NATO, L.Susic/10

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By Luca Susic

Capitolo 2.3 della tesi “Gli interessi statunitensi in Asia Centrale: storia recente e partnership NATO” (L.Susic)

Cap 2.3: 2005-2008, gli USA arretrano

Convenzionalmente l’inizio della crisi diplomatica che portò gli Stati Uniti a indietreggiare è individuata nel cosiddetto Massacro di Andijan, fatto accaduto in una località dell’Uzbekistan orientale.

Tutto iniziò nel maggio 2004 con l’arresto del governatore Kabiljan Ubidov, per opera della sua Assemblea Regionale che, spinta da Karimov, lo accusò di essere coinvolto in una serie di scandali politico-commerciali.

Il suo successore, Saidulla Bagaliyev, fece imprigionare ventitré uomini di affari vicini allo stesso Ubidov e ordinò che venissero messi nella stessa cella riservata ad alcuni membri di un’organizzazione terroristica islamica. Nell’imminenza del verdetto, nel maggio 2005, i parenti degli accusati cominciarono a riunirsi davanti alla corte e l’11 maggio erano presenti circa quattromila manifestanti.

Il giudice pospose la sentenza e il giorno dopo la polizia iniziò ad arrestare tutti i presunti leader delle dimostrazioni. Nella notte un gruppo armato assaltò la prigione e liberò gli accusati e altri compagni di prigionia, ma non si limitò a questo. Vennero presi in ostaggio venti ufficiali governativi e Karimov fu invitato a dimettersi.

All’alba del 13 maggio, migliaia di persone si riunirono nella piazza centrale della città, scandendo slogan contro la povertà e la corruzione governativa, invano. Circa dodicimila uomini dell’esercito, del Ministero degli Interni e della SNB (l’erede locale del KGB) nel frattempo chiusero le vie d’uscita dallo spiazzo e, verso sera, aprirono il fuoco. La televisione nazionale controllata dallo Stato riferì che le vittime appartenevano a gruppi criminali armati e Karimov incolpò direttamente i gruppi terroristici islamici. I corpi delle vittime furono fatti sparire dalle autorità, motivo per cui tutt’ora non ci sono certezze circa il numero di morti.

Di fronte a questi eventi, l’Amministrazione Bush non agì immediatamente, tanto che il White House Press Secretary Scott McClellan si rifiutò di condannare immediatamente l’accaduto, mentre il Pentagono e il CENTCOM rimasero in silenzio.

Alcune settimane dopo, comunque, il Segretario di Stato Condoleezza Rice appoggiò pubblicamente l’avvio di un’inchiesta internazionale, mentre alcuni senatori richiesero di verificare se durante la repressione le forze di sicurezza Uzbeke avessero usato materiale militare fornito dagli USA. Nonostante i fatti, il Pentagono continuò a negoziare un accordo a lungo termine per ottenere i diritti sulla base K2, risultando il vincitore dello scontro con il Dipartimento di Stato, più propenso ad azioni nette di condanna.

La situazione cambiò con l’intervento del Congresso, contrario a lasciare immutate le relazioni bilaterali USA – Uzbekistan dopo quanto avvenuto. La reazione uzbeka non si fece attendere, come dimostrano l’assenza dell’esercito di Karimov durante un’esercitazione congiunta in Asia Centrale e, soprattutto, la visita del Presidente Uzbeko a Mosca e Pechino.

In maniera apparentemente improvvisa, poi, il 5 luglio la SCO, organizzazione di cui faceva parte anche Tashkent, incitò pubblicamente Washington a decidere una data per il ritiro delle proprie truppe.

Pochi giorni dopo, il 30 luglio, il governo Uzbeko richiese l’evacuazione, entro sei mesi, della base K2, da cui le ultime truppe USA partirono in novembre.

Il repentino mutamento della posizione Statunitense in Asia Centrale, con quest’ultima indebolita anche dai difficili negoziati con Bishkek in seguito alla Rivoluzione che portò alla caduta di Akayev (la rivoluzione dei Tulipani in Kyrgyzistan iniziò nel Marzo 2005 e portò alla cacciata del Presidente Akayev, più volte accusato da Human Rights Watch di non rispettare le libertà democratiche), è stato oggetto di numerose riflessioni da parte degli esperti in materia.

I principali filoni di analisi sono due: secondo Blank, gli USA vennero cacciati dall’Uzbekistan a causa della loro incapacità di rispondere ai bisogni di quel paese e, soprattutto, di accettare l’idea che fosse necessario arrivare ad un accomodamento economico con Karimov, il suo Governo e la sua famiglia, come era già stato fatto in Kyrgyzistan. Egli ritiene anche che Washington fallì nel tentativo di instaurare buoni rapporti con importanti esponenti politici del Paese, dato che spesso quelli con simpatie filo-americane cadevano in disgrazia. L’elemento chiave della critica, però, verte sul fallimento delle operazioni antiterrorismo portate avanti dalle forze Statunitensi che, nonostante il loro impegno, non poterono evitare che a partire dal 2004 gli attacchi dell’integralismo islamico aumentassero.

Davis, invece, mette l’accento sulla perenne indecisione dell’Amministrazione Americana se dare la precedenza in Asia Centrale alla difesa dei diritti umani o, venendo incontro alle esigenze delle repubbliche del luogo, alla sicurezza. Tale stallo fece in modo che il Dipartimento di Stato e quello della Difesa potessero addirittura portare avanti due politiche quasi autonome in materia di relazioni con Tashkent. La maggiore critica, però, riguarda l’errata valutazione fatta dai collaboratori di Bush circa la reale importanza che avessero gli USA per Karimov, considerata decisamente superiore quanto non fosse in realtà, e l’entità degli aiuti forniti all’Uzbekistan, evidentemente non sufficienti a favorire un cambiamento sostanziale in una politica del quid pro quo.

Per quanto esaurienti, le spiegazioni appena citate non sono, a mio avviso, sufficienti a chiarire come Washington si sia trovata impreparata all’espulsione da una zona così importante per la sua missione in Afghanistan.

E’ necessario, infatti, considerare altri elementi, come, ad esempio, la paura di Karimov di essere detronizzato dalle forze islamiste radicali. Il leader Uzbeko si rese conto che la presenza Statunitense in loco stava diventando una minaccia per la stabilità della sua Repubblica a causa dell’aumento degli attentati contro gli Americani e i loro alleati. Egli si avvicinò quindi sempre di più a Mosca e Pechino, che gli fornivano costante aiuto per preservare la leadership. Lo strappo fu aggravato dal fallimento della condanna morale espressa da Washington per i fatti di Andijan, che non solo venne vista come un’inopportuna interferenza negli affari interni del paese, ma finì per legare ulteriormente SCO e Uzbekistan.

E’ anche importante sottolineare che gli Stati Uniti persero un’importante guerra mediatica con la Russia e la Cina, che li accusavano di essere i veri artefici delle rivoluzioni colorate (quella serie di movimenti di contestazione civile che si diffusero in Georgia, Ucraina e Kyrgyzistan) che stavano sconvolgendo alcuni paesi dello spazio ex-sovietico, Kyrgyzistan incluso.

L’insieme di tutte queste motivazioni, rende più chiaro il motivo del repentino cambio di rotta dell’Amministrazione Uzbeka e la sottovalutazione del problema da parte di quella Statunitense. La situazione sarebbe potuta essere disastrosa per gli USA, però, se non fossero riusciti almeno a trovare un accordo con il nuovo presidente Kyrgyzo Bakiyev (Kurmanbek Salijevic Bakiyev fu presidente dal 2005 al 2010. La sua gestione del potere venne criticata dalla BBC in seguito all’uso della forza ordinato per disperdere alcune manifestazioni a Bishkek nel 2007 e dall’OSCE a causa dei brogli organizzati in occasione delle elezioni presidenziali del luglio 2009) circa la rinegoziazione del canone d’affitto per la base di Manas.

Il problema sorse una settimana dopo il comunicato ufficiale della SCO in cui si chiedevano tempi certi per il ritiro delle forze Americane dall’Asia Centrale:

“Considering the completion of the active military stage of antiterrorist operation in Afghanistan, the member states of the Shanghai Cooperation Organization consider it necessary, that respective members of the antiterrorist coalition set a final timeline for their temporary use of the above-mentioned objects of infrastructure[concesse da stati membri della SCO] and stay of their military contingents on the territories of the SCO member states.” ( Dichiarazione dei Capi di Stato dei Paesi membri della SCO, Astana, 05/07/2005, riportata dall’Edizione Online del The China Daily, 12/06/2006, http://www.chinadaily.com.cn/china/2006-06/12/content_614632.htm, ult. consultaz. 01/07/2013).

Il leader Kyrgyzo era messo sotto pressione sia da Mosca sia dal Parlamento ancora fedele ad Akayev. Egli ebbe pertanto la necessità di dimostrarsi indipendente dall’influenza degli USA e del suo predecessore loro sostenitore, quindi iniziò a richiedere che l’accordo in fieri divenisse più vantaggioso per il suo paese. La cifra che si aspettava di ricevere era vicina ai duecento milioni di dollari, un importo cento volte superiore a quello precedentemente pattuito. Gli Statunitensi, vedendo il bluff, dichiararono che potevano trovare sistemazioni alternative (159 Si riferivano al Tajikistan e alla Mongolia ) per cifre inferiori e che quindi non avrebbero risposto positivamente entro il termine stabilito dal Governo Kyrgyzo (1° giugno 2005). E’ chiaro, però, che si trattò di un puro gioco delle parti, poiché entrambi i contendenti avevano interesse a stipulare l’accordo, come avvenne effettivamente in luglio.

A metà del 2005, quindi, gli USA si trovarono in una situazione critica che non erano pronti a gestire, avendo sottovalutato il ruolo e l’influenza che la SCO era in grado di esercitare in quella parte di globo. La simbiosi fra Russia e Cina per liberarsi della scomoda presenza Statunitense era difficilmente controbilanciabile da Washington, soprattutto in un momento in cui non era in grado di mantenere inalterato il livello di finanziamenti per l’Asia Centrale.

Per mantenere lo status quo, l’Amministrazione americana avrebbe dovuto cedere sulla tematica che stava più a cuore ai leader locali, la sicurezza. La mancanza di un chiaro ordine di priorità fra diritti umani e lotta al terrorismo fece sì che gli USA venissero visti come non sufficientemente interessati alla sopravvivenza dei regimi che detenevano il potere e che erano spaventati dalla minaccia integralista. Addirittura un moderato come Nazarbayev ebbe a lamentarsi, nel novembre 2006, dell’insistenza con cui gli USA propagandavano la democrazia in paesi in cui questo concetto non era assolutamente di casa anziché preoccuparsi dei fallimenti della NATO nel gestire l’Afghanistan.

Alla luce di questi avvenimenti si fece strada la proposta di Frederick Starr riguardante la creazione di un organismo chiamato “Greater Central Asia Partnership for Cooperation and Development” (GCAP), il cui scopo sarebbe stato quello di favorire la cooperazione bilaterale fra USA e i singoli paesi dell’area all’interno del contesto regionale.

Nel suo lavoro l’autore Statunitense elencò anche gli obiettivi da perseguire grazie al nuovo organismo:

  • combattere il terrorismo locale (probabilmente per creare un concreto concorrente all’analogo progetto del CSTO);
  • limitare il rischio che una Potenza o un gruppo di esse potesse avere il monopolio in Asia Centrale;
  • rafforzare la sovranità dell’Afghanistan e dei paesi vicini;
  • promuovere sistemi politici democratici che fungessero da esempio per le popolazioni islamiche degli stati confinanti.

Si trattava, come è evidente, di una serie di iniziative fra loro contrastanti, poiché la promozione immediata della democrazia non era compatibile né con il rafforzamento politico delle Repubbliche locali, né con il tentativo di garantire la parità gli Stati: l’incremento degli standard in materia di diritti civili e politici avrebbe reso necessario preferirne uno in termini di aiuti e di appoggio politico.

Nonostante l’eco dei media, il GCAP non decollò.

La posizione presa dagli USA, infatti, fu diversa e si richiamò a quanto già espresso quattro anni prima da Elizabeth Jones. Daniel Fried, Assistant Secretary per gli Affari Europei ed Euroasiatici a Washington, il 27 ottobre 2005 ribadì che gli interessi strategici Statunitensi nell’area erano tre: sicurezza, cooperazione regionale economica ed energetica, libertà attraverso le riforme.

La politica americana in Asia Centrale andò quindi orientandosi verso i tre paesi con cui le relazioni erano rimaste migliori, ossia Kazakistan, Kyrgyzistan e Tajikistan, grazie anche alla visita in loco compiuta in quel periodo dall’allora Segretario di Stato Condoleezza Rice.

E’ importante notare che Fried, nella sua esposizione, dimostrò chiaramente come fosse cambiata l’inclinazione Statunitense nei confronti di Turkmenistan e, soprattutto, Uzbekistan, descritti come dei “retrograde regimes” ed individuati come ostacoli alla cooperazione regionale. Per la prima volta dopo l’invasione dell’Afghanistan, il settore energetico tornò ad essere un punto fondamentale dell’azione governativa Statunitense, sia in chiave anti russa, sia come sistema di promozione del benessere della popolazione e, quindi, della democrazia.

A questo proposito Washington decise di implementare lo sforzo per regolarizzare l’accesso all’acqua in Kyrgyzistan, economicamente dipendente dall’oro blu.

L’aspetto più innovativo della politica condotta dall’Amministrazione Bush dopo la crisi Uzbeka fu il costante sforzo per migliorare i rapporti con il Tajikistan, sfruttando soprattutto il ritiro delle ultime truppe russe dal confine Tajiko-Afghano nel 2005 (Le truppe russe, arrivate durante la guerra civile, stazionarono ai confini Tagiki fino al 2005 per controllare i traffici provenienti dall’Afghanistan. Al momento sembra che Dushanbe e Mosca si stiano accordando per l’invio di soldati russi al termine della missione USA in Afghanistan). Questo piccolo paese divenne giocoforza per gli USA il più importante dell’area, poiché, grazie alla cosiddetta “open door policy” (si intende la volontà espressa dal Presidente Tajiko di non precludere al paese nessuna collaborazione con l’Occidente) promossa da Rahmon, era l’unico a non schierarsi preventivamente contro la presenza statunitense in loco.

Nonostante gli sforzi, comunque, la situazione degli USA restò precaria.

Il rafforzamento della SCO e della CSTO in Asia Centrale e gli scarsi risultati delle mission Enduring Freedom ed ISAF (nel settembre del 2008 l’Ambasciatore Britannico a Kabul, Sherard Cowper-Coles, disse che la strategia Americana era “destined to fail”, mentre l’Ammiraglio USA Michael Mullen dichiarò che gli USA non stavano vincendo la guerra) resero necessario dare una netta sferzata alla politica Statunitense.

Il primo passo fu l’aggiornamento, nel 2008170, del Global Defense Posture Review (si tratta di un documento programmatico del 2004 promosso dall’allora Segretario alla Difesa Donald Rumsfeld atto a tracciare le basi della nuova strategia militare Statunitense), il cui scopo era di quello aumentare la flessibilità delle forze Armate Americane, distribuendole in piccole basi sparse nel mondo, soprattutto in Asia Centrale, Mar Nero e Africa.

Washington riuscì ad ottenere un importante risultato nel marzo 2008, quando l’Uzbekistan riconcesse agli Stati Uniti l’utilizzo della base aerea di Termez, a patto che le truppe Americane fosse trasportate sino a lì da aerei Tedeschi.

Seguirà Cap 2.4: La prima Presidenza Obama

Il post precedente è al link Gli interessi statunitensi in Asia Centrale: storia recente e partnership NATO, L.Susic/9

Foto: base K2/BBC

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