Dic 5, 2013
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Tra Russia e Stati Uniti. Storia della Georgia indipendente, M.Antollovich/4

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By Marco Antollovich

Cap.2 della tesi “Tra Russia e Stati Uniti. Storia della Georgia indipendente” (M.Antollovich)

Indipendenza della Georgia e indipendenza dalla Georgia

La Georgia, culla di una nazione che vanta origini antichissime, di gran lunga precedenti alla Rus’ di Kiev, è stata considerata per secoli una colonia russa, prima dell’Impero zarista e poi dell’ Unione Sovietica.

Molti furono i Georgiani che riuscirono a emergere e a ottenere posizioni di ruolo nella multietnica e variegata realtà sovietica. Basti pensare a figure come Stalin, Berija, entrambi di nazionalità georgiana, o al legame di sangue che ha vincolato gli ultimi tre ministri degli esteri russi a Tbilisi: Primakov trascorse tutta la sua infanzia e la sua giovinezza nella capitale, mentre la madre del suo successore, Igor Ivonov era anch’essa originaria di Tbilisi. Da ultimo, il padre di Sergei Lavrov, attuale ministro degli esteri russo, faceva parte dell’ èlite armena della città.

La Georgia, ancor più di Armenia e Azerbaigian, rappresentava (e continua a rappresentare) perfettamente quel crogiolo di etnie, lingue e culture che caratterizza da sempre il Caucaso del Sud: stando all’ultimo censimento sovietico in Georgia, più precisamente, su una popolazione totale di 5.401.000 abitanti, solo il 70% era rappresentato da Georgiani.

Del restante 30%, gli Armeni costituivano la minoranza più numerosa (8%), seguita dai Russi con il 6.3% e Azeri con il 5.7%. Le popolazioni ossete e abcase rappresentavano rispettivamente il 3% e l’1.8%. Ciascuna delle minoranze, inoltre, occupava una zona ben definita all’interno del territorio georgiano: nella regione di Samtskhe-Javakheti, a meno di 300 chilometri da Tbilisi, gli Armeni costituiscono più del 50% della popolazione raggiungendo il 95% in certi distretti.

Gli Osseti rappresentavano nell’Ossezia del Sud, su circa 100.000 abitanti, il 66%, mentre i Georgiani, costituivano il secondo gruppo più numeroso della regione con il 29% della popolazione.

Il ruolo delle minoranze costituirà una delle questioni più annose per la nazione georgiana dopo l’indipendenza e sarà foriero di conflitti interni e attriti internazionali.

Sebbene il tenore di vita in Georgia fosse considerevolmente più elevato che in molte altre Repubbliche Sovietiche, la mancanza di risorse naturali rendeva il mercato georgiano indissolubilmente vincolato a quello sovietico: la coltivazione di viti (e la produzione di bevande alcoliche), agrumi e di tè rappresentava l’unica forma di esportazioni in tutta l’URSS.

Considerando che la coltivazione di tali prodotti avveniva solo sulle coste del Mar Nero (principalmente in territorio abcaso), essa rappresentava una fonte di introiti non trascurabile per l’economia georgiana, ma aveva alimentato negli anni un vasto mercato nero, con una conseguente impennata di corruzione negli anni ‘80.

Il crollo dell’ Unione Sovietica ebbe dunque ripercussioni devastanti sul neonato stato georgiano poiché la relativa chiusura dei mercati, sommata alle guerre civili combattute al suo interno, portarono a una riduzione drastica dell’economia: rispetto al PIL del 1989 si registrò un calo dell’11% nel 1990, del 20.6% nel 1991, del 43.4 % nel 1992.

Da questa breve introduzione possiamo dedurre quanto la Georgia di fine anni ’80 fosse un territorio instabile e fragile sotto ogni punto di vista, all’interno di un altrettanto fragile Unione Sovietica. Ma come reagì questo piccolo stato agli avvenimenti che portarono alla dissoluzione del colosso sovietico e all’indipendenza del Caucaso?

Come nelle vicine repubbliche di Armenia e Azerbaigian, esisteva una Nomenklatura georgiana vicina o facente parte del partito che si era arricchita negli anni grazie al fiorente mercato nero; tali patronati andarono, col passare del tempo, a ricoprire un ruolo sempre più importante all’interno dell’amministrazione statale.

Grazie alla politica di decentramento dell’era di Gorbaciov, emersero delle nuove figure fondamentali per l’indipendenza del Caucaso e della Georgia, in particolar modo: i “patriot-buisnessman”.

Questa neonata categoria politico-militare-economica, grazie agli introiti derivati dal mercato nero, era in grado di organizzare forme di milizia privata altamente addestrata; tale milizia andrà a costituire il nucleo centrale dei vari eserciti nazionali agli albori dell’indipendenza, nei primi anni ‘90.

Il desiderio di svincolarsi dal giogo russo aveva dunque portato alla formazione di partiti e movimenti d’opposizione durante la fine degli anni ’80, tutti di stampo nazionalistico, tutti anti-russi, ma non tutti necessariamente anti-comunisti. Tra questi la “Società Rustaveli”, pro-comunista, il “Partito per l’Indipendenza Nazionale” di Tserteli, il “Partito Nazional-democratico” di Chanturia e la “Società di sant Ilya”, fortemente nazionalista, fondata dai dissidenti Kostava e Gamsakhurdia.

In Georgia, tuttavia, le prime vere manifestazioni volte a contestare il ruolo egemone del partito comunista cominciarono già nel novembre del 1988. Fu proprio durante le proteste di fine ’88 che emerse la figura di Zviad Gamsakhurdia, leader carismatico e misterioso, emblema messianico della lotta per l’indipendenza e del nazionalismo georgiano.

Gamsakhurdia, originario della Mingrelia (regione storica georgiana, abitata da Mingreli, un sottogruppo dei Georgiani), ma cresciuto a Tbilisi, era figlio del più noto poeta e letterato georgiano del XVIII-XIX secolo.

Filologo, traduttore di Baudelaire e di innumerevoli opere francesi, inglesi e statunitensi, Zviad aveva sin da giovane dimostrato uno spiccato amore per la patria e un altrettanto spiccato odio per l’invasore sovietico. Promotore di una politica basata sul nazionalismo più esasperato (il suo slogan era “la Georgia per i Georgiani”), legava a doppio filo la rinascita della Georgia sia all’indipendenza dall’URSS, sia a una gestione dello stato tutta georgiana, dove le minoranze non dovevano né potevano ricoprire alcun ruolo (privare le minoranze di un ruolo nelle amministrazioni locali avrebbe consentito alla popolazione georgiana di controllare meglio, anche grazie all’ imposizione del georgiano come lingua, dei territori di confine dove i Georgiani risultavano in forte minoranza).

Gamsakhurdia diventava pertanto il portavoce di un’ideologia nuova, quella nazionalista, rimasta latente per decenni sotto il comunismo.

Fu proprio l’esasperazione del nazionalismo georgiano che gli permise di ottenere un così ampio consenso popolare. Con una situazione politica instabile, un quadro etnico non privo di frizioni e una struttura economica al collasso, la ricerca disicurezza, come in altri regimi autoritari, costituì la carta vincente di Gamsakhurdia.

Attorno alla nuova figura carismatica si riunì una vera e propria schiera di seguaci, gli Zviadisti, adoratori del nuovo “Messia” georgiano; saranno proprio gli Zviadisti che continueranno a sostenere il presidente anche dopo il colpo di stato, dando vita ad un’accanita resistenza contro il nuovo regime durante la guerra civile.

Una Georgia forte non solo avrebbe rafforzato il prestigio del nuovo presidente sul piano internazionale, ma avrebbe allontanato eventuali attori terzi dalla politica interna del paese. Ciò tuttavia non accadde e la difesa delle minoranze nazionali divenne, negli anni, il pretestuoso cavallo di Troia della neonata Federazione Russa per ristabilire un controllo economico, politico e militare nelle “vecchie colonie”.

Risultava pertanto di fondamentale importanza per Gamsakhurdia vincere la partita contro le spinte centrifughe di Abcasia, Ossezia del Sud e Ajara.

La repubblica autonoma di Abcasia infatti, era una regione da sempre difficilmente controllabile da Tbilisi. Con una superficie pari a quella dell’isola di Cipro, l’Abcasia occupava quasi tutta la zona costiera del Mar Nero e vantava un’economia complessivamente sviluppata, grazie alle piantagioni di agrumi e al turismo, con degli standard di vita incontrovertibilmente più elevati che nel resto del paese.

Il capoluogo Sukhumi, era uno dei luoghi di villeggiatura più amati dalle élites russe in tutta l’Unione Sovietica.

Con una popolazione di 525.000 persone rappresentava circa un decimo della popolazione della repubblica georgiana nel 1989, ma, a causa della composizione multi-etnica e della politica delle amministrazioni locali, la rendevano un territorio potenzialmente instabile.

Gli Abcasi vantavano inoltre origini totalmente differenti dal popolo georgiano: antichi abitatori del Nord Caucaso, con una lingua derivante del proto-circasso, risultavano molto più vicini alle etnie circasse, inguscete, daghestane e cecene piuttosto che a quella georgiana, differente anche da un punto di vista linguistico.

Le differenze religiose (gli Abcasi erano prevalentemente musulmani sunniti) e linguistiche costituivano da sempre un notevole scoglio culturale: gli Abcasi non si sono mai integrati appieno con il popolo georgiano, né, tantomeno, si sono sentiti georgiani.

In seguito a una politica di migrazioni forzate e di “georgizzazione” del territorio, la popolazione abcasa in Abcasia costituiva paradossalmente soltanto il 17.8% del totale, mentre i Georgiani, con il 45.7% rappresentavano il gruppo maggioritario. Tra le altre popolazioni ivi residenti i Russi e gli Armeni componevano il 30% del totale, rispettivamente il 14.3 e 14.6%.

Sebbene gli Abcasi costituissero una minoranza numerica all’interno del proprio territorio, essi ricoprivano quasi tutte le cariche più importanti all’interno delle amministrazioni locali e all’interno del PC abcaso: il fatto che nel 1990 il 67% dei ministri nel governo abcaso fosse rappresentato da indigeni non è un dato trascurabile.

Tale sproporzione tra rappresentanza nazionale e rappresentanza parlamentare era dovuta ad una “politica dei compensi” voluta direttamente da Mosca. Un simile atteggiamento nei confronti delle minoranze abcase era strettamente legato al fatto che, in seguito alla politica repressiva staliniana e ai non rosei rapporti con la repubblica georgiana, l’intellighenzia abcasa avesse più volte richiesto (nel 1957, 1967 e 1977) l’annessione della repubblica autonoma alla RSFSR (Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa, ovvero l’ attuale Federazione Russa) e che questa fosse puntualmente respinta dalla sede centrale del PCUS.

Tuttavia, quando nel marzo del 1989 una folla di 20.000 manifestanti, riunitisi nella capitale Sukhumi, richiese a gran voce il riconoscimento dell’indipendenza della Repubblica Abcasa (ma sempre all’interno dell’Unione Sovietica) e la conseguente secessione della Repubblica Georgiana, la risposta del movimento nazionale georgiano non si fece attendere.

Un’ondata di manifestanti georgiani si riversò nelle strade di Tbilisi fondendo slogan contro l’Abcasia a slogan contro il partito e contro Mosca. L’intervento dell’esercito il 9 aprile 1989, inviato dal Partito Comunista Georgiano per sedare la rivolta, provocò centinaia di feriti, ponendo fine alle proteste, ma anche all’ultimo barlume di legittimità del regime.

Fu solo grazie all’aiuto fornito dalle milizie popolari private e delle bande criminali organizzate che si evitò un vero e proprio massacro di civili. Tali bande armate, controllate dai già nominati “patriot-buisnessman”, si ersero in difesa delle donne e dei bambini, guadagnando notevole popolarità; solevano auto-definirsi “un’organizzazione di carità paramilitare”. Tra queste organizzazioni, i Makhdrioni (Makhdrioni: letteralmente “Cavalieri”) di Jaba Joseliani, uno scrittore di operette teatrali capo della mafia georgiana, e le milizie di Kitovani avrebbero giocato un ruolo fondamentale durante i conflitti contro l’Ossezia del Sud e l’Abcasia.

In seguito agli eventi dell’aprile ’89, secondo un sondaggio svoltosi la settimana successiva all’ accaduto, l’89% del popolo georgiano voleva la piena indipendenza, più che in qualsiasi altra Repubblica Sovietica, comprese le Repubbliche Baltiche.

La situazione, già esasperata, degenerò definitivamente il 23 novembre dello stesso anno, questa volta a causa della questione osseta.

L’Ossezia del sud, con una popolazione di circa 100.000 abitanti, composta da Osseti al 66.2% e da Georgiani solamente per il 29%, era un oblast (l’ Oblast, область, è una suddivisione amministrativa all’ interno dell’ ex- Urss, corrispondente,all’ incirca, alla definizione di regione) a statuto speciale all’ interno del territorio georgiano.

Gli osseti del sud risultavano però strettamente legati da vincoli etnici, culturali e linguistici (gli Osseti, sia del Nord che del Sud, discendono direttamente dagli Alani; la loro lingua risulta pertanto diversa sia dal georgiano, che dalle lingue del Nord Caucaso, poiché legata direttamente al medio-persiano) ai “fratelli” dell’Ossezia Settentrionale, la quale, trovandosi al di là dei monti del Caucaso, rientrava appieno nel territorio della RSFSR.

Con quasi la metà di matrimoni misti all’interno della piccola regione autonoma, Osseti del sud e Georgiani erano riusciti a instaurare un modus vivendi stabile e, nonostante i tentativi di “georgianizzazione”, la cultura e la tradizione osseta erano sopravvissute negli anni all’ interno della Georgia sovietica.

Agli inizi di novembre del 1989 il Soviet Supremo sud-osseto aveva avanzato una richiesta più contenuta e realizzabile rispetto a quella abcasa: l’Ossezia del sud sarebbe dovuta passare da uno status di “Oblast autonomo” a “Repubblica autonoma” (ASSR), con pochissime conseguenze pratiche, se non dal punto di vista dell’amministrazione interna.

Tale richiesta venne percepita dal soviet georgiano come un primo passo verso l’indipendenza e, pertanto, bloccato. Prendendo dunque spunto dagli avvenimenti accaduti pochi mesi prima in Abcasia, l’Ossezia si autoproclamò una nazione indipendente. Come avvenuto per l’Abcasia, la risposta georgiana non si fece attendere: leader incontrastato del movimento popolare fu Zviad Gamsakhurdia, che organizzò una marcia su Tskhinvali alla testa di 30.000 manifestanti.

Sebbene la protesta non degenerasse in un vero e proprio conflitto armato, la possibilità di un’escalation militare era tutto fuorché improbabile: il 20 settembre 1990 il Soviet Supremo sud-osseto proclamò l’indipendenza della Repubblica Democratica Sovietica dell’Ossezia del Sud e l’annessione alla RSFSR. Per i Georgiani, secondo i quali i Sud-osseti non erano altro che “ospiti” (il termine georgiano coniato da Gamsakhurdia per indicare i Sud-osseti è stumrebi, la cui accessione negativa implica più un concetto di parassitismo, che di ospitalità) la dichiarazione d’indipendenza risultava un atto inaccettabile per tre motivi fondamentali:

  • la Repubblica Georgiana non poteva dimostrarsi debole e disunita alla vigilia dell’indipendenza;
  • la neonata Repubblica Osseta poteva risultare indipendente da un punto di vista formale, ma non sostanziale: con una popolazione di 100.000 abitanti, priva dirisorse minerarie e terre coltivabili, incastonata tra le montagne del Caucaso, avrebbecertamente fatto appello ai fratelli nord-osseti (e quindi ai Russi) per aiuti concreti;
  • la presenza russa a sud della catena del Caucaso, a meno di 100 chilometri da Tbilisi,risultava una minaccia considerevole alla sicurezza georgiana.

Le minoranze georgiane all’interno dell’Ossezia del Sud sarebbero diventate bersaglio delle stesse discriminazioni che gli Osseti avevano subito in Georgia e sarebbe stato difficile per la madrepatria tutelarne la salvaguardia.

Il 5 gennaio 1991, circa 5.000 uomini riuniti in squadriglie paramilitari con l’appoggio della nuova Guardia Nazionale, costituita ad hoc per l’occasione, entrarono a Tskhinvali attaccando la popolazione civile; la milizia locale sud osseta, meglio addestrata rispetto ai Georgiani, rispose al fuoco. Fu solo nel gennaio del 1992 che il colpo di stato volto a detronizzare il despotico Gamsakhurdia creò le condizioni per una forma di pacificazione tra le due parti.

Tuttavia, era chiaro ormai che due regioni autonome su tre risultavano sempre più lontane dal controllo di Tbilisi.

Nonostante il trauma suscitato dal rapido susseguirsi di avvenimenti che aveva portato la Georgia alla perdita della propria sovranità su quasi un terzo del territorio nazionale, il 9 aprile 1991 il parlamento georgiano dichiarò la propria indipendenza.

Il 26 maggio 1991 Zviad Gamsakhurdia divenne il primo presidente della Georgia indipendente, con una schiacciante vittoria (87 % dei voti). Il nuovo parlamento rifletteva perfettamente il nazionalismo georgiano: 9 posti soltanto, su 245, furono concessi alle minoranze.

La mancanza di qualsivoglia forma di diritto politico, la repressione delle minoranze e il totale disinteresse per le istituzioni democratiche spinsero a un rapido coalizzarsi di tutte le altre forze politiche e militari georgiane. Il fallito colpo di stato organizzato a Mosca contro la presidenza Gorbaciov spinse Gamsakhurdia a una riforma dell’esercito sotto il controllo statale. Più precisamente, come abbiamo già visto, mancava in Georgia un vero e proprio esercito nazionale, il che poteva spingere le milizie a ribellarsi contro le autorità centrali.

Esistevano truppe sovietiche di stanza in quattro basi militari in Georgia, ma sotto il comando di Mosca, e truppe “irregolari” formate dalle milizie personali dei signori locali, padroni dell’economia sommersa georgiana. Tra questi Tengiz Kitovani, capo della Guardia Nazionale, amico di Gamsakhurdia (ma da questi non controllato) e Jaba Ioseliani, capo dei Makhedrioni e leader incontrastato del traffico di tabacco e benzina.

Il 23 agosto 1991 un decreto governativo poneva La Guardia Nazionale sotto il diretto controllo del Ministero degli Interni, con il manifesto proposito di “normalizzare” una forza instabile che sarebbe andata a creare il nucleo del nuovo esercito georgiano, allontanando Kitovani dal suo ruolo di comando.

Sfortunatamente però, il nuovo presidente ottenne il risultato contrario: Kitovani, sentitosi tradito dal vecchio amico e non volendo perdere il controllo su una milizia da lui stesso formata, unì i suoi 12.000 soldati ai Makhdrioni di Ioseliani e, con l’appoggio del primo ministro Tengiz Sigua, organizzarono un colpo di stato.

A inizio dicembre le forze del nuovo triumvirato marciarono su Tbilisi, costringendo Gamsakhurdia a rifugiarsi prima in Armenia e poi in Cecenia.

Sebbene il colpo di stato fosse andato a buon fine, gli Zviadisti continuarono i combattimenti in tutto il territorio georgiano e soprattutto in Mingrelia, terra di appartenenza del leader detronizzato, tra Georgia e Abcasia.

Marco Antollovich

Seguirà La Georgia nel Caos: il ruolo di Edward Shevardnadze

Il post precedente è al link: Tra Russia e Stati Uniti. Storia della Georgia indipendente, M.Antollovich/3

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