Ago 7, 2014
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Sahara Occidentale: conflitto e identità attraverso le storie di vita dei guerrilleros saharawi, L.Maiotti/2

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By Luca Maiotti

Capitolo 1 della tesi “Sahara Occidentale: conflitto e identità attraverso le storie di vita dei guerrilleros saharawi”, di Luca Maiotti

Gli strumenti teorici per l’analisi: le definizioni di conflitto e di identità

Al fine di poter procedere a un’analisi approfondita dell’identità saharawi durante il conflitto tra Fronte Polisario e Marocco, è opportuno illustrare preliminarmente alcune nozioni concettuali e storico-geografiche fondamentali. Di seguito saranno perciò definite le categorie di conflitto e identità di modo che vi si possa far riferimento e affinché possano fungere nello stesso tempo da strumento e destinazione della trattazione.

La definizione di conflitto

Per fornire una corretta definizione di “conflitto” sarebbe metodologicamente improprio fermarsi al numero di vittime causate da una guerra o dalle perdite sul mercato a causa di un embargo. Considerazioni di tipo statistico non possono costituire un valido strumento di analisi; possono al massimo fornire un dato da confrontare o interpretare. Lo stesso termine “conflitto” – peraltro spesso utilizzato impropriamente – può coprire un insieme di fenomeni o semplici tensioni molto differenti tra loro: da conflitto sindacale a conflitto israelo-palestinese. La prima distinzione che va operata è quella tra conflitto e guerra, espressioni spesso considerate equivalenti, quindi interscambiabili. Il conflitto consiste in un’incompatibilità di obiettivi tra due o più attori; la guerra è un conflitto in cui si ricorre alla violenza. La lotta armata è quindi solo uno dei possibili mezzi con cui il conflitto si materializza. Confondere conflitto e guerra è erroneo perché spesso con la fine della violenza – come nel caso del Sahara Occidentale – non termina il conflitto. In questo caso gli esiti più probabili sono di solito una guerra a minore intensità (sabotaggi, atti di terrorismo) o un provvisorio congelamento del conflitto.

Il settore pluridisciplinare della peace research si sforza di proporre agli operatori politici gli scenari che facilitino la risoluzione dei conflitti. Alcune modalità sono più stabili, perché si superano le incompatibilità (casi di risoluzione), altre si limitano a un congelamento (freezing) o una rimozione (avoidance), situazioni in cui il conflitto potrebbe rinascere in futuro.

La prima opzione per una risoluzione è l’integrazione o la separazione, attraverso i meccanismi di pace associativa o dissociativa. L’integrazione è simmetrica se si estrinseca tramite consociativismo (collaborazione di rappresentanti di gruppi religiosi, etnici, linguistici, culturali come in Libano) o federalismo – come nei casi di Iraq, Bosnia -; essa è invece asimmetrica se comporta solo autonomia amministrativa per determinati gruppi etnici, religiosi o linguistici. La separazione può essere simmetrica, se dà vita a stati di tipo mono nazionale (Timor Est, Eritrea, Sud Sudan), mentre si definisce asimmetrica qualora porti alla formazione di stati plurinazionali (Croazia, Serbia, Macedonia, Montenegro, Kossovo).

La seconda opzione è il compromesso, in cui l’oggetto del contendere viene diviso tra le parti in modo che entrambe siano soddisfatte. Sono i casi di confederazione con successione dei trattati oppure di condominio – nei quali la sovranità viene condivisa.

La terza opzione è lo scambio, che implica l’inserimento di un altro obiettivo che permette di realizzare delle reciproche concessioni. Per esempio in Cambogia in cambio dall’amnistia concessa ai Khmer rossi accusati di crimini contro l’umanità, lo Stato ha ottenuto come contropartita la cessazione delle ostilità.

La quarta opzione è la trascendenza, situazione in cui i fini degli attori sono tutti realizzati pienamente. Per esempio per alcuni conflitti in America Centrale prima dell’’89, il processo di democratizzazione dei gruppi militari comunisti viene considerato una forma di trascendenza.

La quinta opzione è il convincimento, in cui un attore realizza il proprio obiettivo mentre l’altro rinuncia unilateralmente al proprio – per esempio nei casi di accettazione delle decisioni di un Tribunale Internazionale .

Altre modalità non portano alla risoluzione del conflitto, ma giungono al massimo a un congelamento o a una rimozione.

Ad esempio, nel caso del dominio non c’è consenso né libertà di scelta per l’attore sconfitto, che viene soggiogato dall’avversario a causa di forti asimmetrie nella dotazione di risorse. Il dominio può essere il risultato di una sconfitta militare.

La diversione indica invece l’introduzione di una nuova interazione tra gli attori, di tipo positivo (un’attività cooperativa, come lo sfruttamento comune delle acque) o negativo (un secondo conflitto).

La multilateralizzazione introduce dei nuovi attori nelle interazioni.

La segmentazione indica la possibilità di frammentare l’avversario in due o più attori

Infine, la sovversione significa favorire il ricambio delle élite attraverso aiuti militari ed economici.

Per ulteriore chiarezza, si possono schematizzare le varie opzioni in una tabella

Risoluzione Rimozione
Integrazione (simmetrica, simmetrica) Dominio
Separazione (simmetrica, asimmetrica) Riduzione all’impotenza
Compromesso Diversione
Scambio Multilateralizzazione
Trascendenza Segmentazione
Convincimento Sovversione

Il conflitto quindi è un’esperienza dell’umano che può realizzarsi a diverse dimensioni. La complessità degli interessi in gioco spesso fa sì che l’intervento delle organizzazioni internazionali, prima tra tutti l’ONU, cerchi di limitare i danni e le perdite di vite umane, “accontentandosi” di congelare il conflitto. A questo proposito, il caso del Sahara Occidentale è ibrido: da una parte rientra nella categoria del dominio in quanto il territorio è stato completamente invaso e al momento attuale è saldamente nelle mani del Marocco; si può quindi parlare di pulizia etnica, con l’obiettivo di negare qualsiasi specificità culturale che possa dare adito a pretese di autodeterminazione. Dall’altra una risoluzione durevole di questo conflitto potrebbe essere raggiunta tramite una Separazione di tipo simmetrico, con la proclamazione dell’indipendenza della parte meridionale in seguito a referendum e lo stabilimento di frontiere da parte della Corte Internazionale di Giustizia.

La definizione di identità

La questione dell’identità riveste un ruolo centrale, perché rappresenta l’oggetto del contendere soprattutto ora che la lotta armata è sospesa e il territorio è posto sotto salda tutela marocchina.

Il possibile referendum sottintende la problematica del corpo elettorale, cioè l’esplicitazione giuridica di chi ha il diritto essere definito saharawi e quindi può esprimersi sulla futura sovranità del territorio. In più, al sorgere della controversia, il problema dell’identità saharawi rivestiva già un ruolo cruciale, perché senza identità non c’è popolo, quindi non c’è diritto di autodeterminazione né stato.

La nozione di identità può essere analizzata da diversi punti di vista. Una delle tesi più interessanti è formulata dall’africanista francese Jean-Loup Amselle che, in contrasto con le definizioni più comuni, denuncia la classica “ragione etnologica” propria di antropologi e amministratori coloniali. Adducendo come motivazione l’inesistenza (o comunque la non così grande rilevanza) di supposti nuclei originari, Amselle sostiene che in realtà ogni area si presentava come una catena di società inserita in un continuum socio-culturale.

Sia i fautori del multiculturalismo, sia i sostenitori di una separazione culturale (intesa come razziale) obbediscono invece alla logica inversa: sia che la si utilizzi per contrapporre categorie etniche sia che si cerchi di valorizzarne la diversità nell’ottica di una migliore convivenza, l’azione separa, ritaglia e isola. E questa azione avrebbe motivazioni ed efficacia politica. Amselle sottolinea come l’azione coloniale abbia indotto e addirittura creato identità, se non inesistenti, sicuramente sopite e poco operative se non per alcuni fatti della vita, trasformandole in “marchi di fabbrica” dei diversi gruppi. Una volta creati i gruppi etnici, ognuno con una funzione propria, essi si sarebbero trovati a entrare in conflitto.  La nozione di “logica meticcia” – coniata dallo stesso Amselle – potrebbe essere interessante in quanto risolve il falso dilemma nel quale si resta sovente impigliati: quello che oppone l’universalismo dei diritti dell’uomo al relativismo culturale. Per uscire da questo circolo vizioso Amselle propone di abbandonare lo spirito classificatorio e, invece di ricercare e mettere in evidenza gli elementi di diversità, di presupporre un sincretismo originario che porterebbe a un indebolimento dei confini in favore di una maggiore continuità culturale.

Seppur la tesi di Amselle apra scenari estremamente interessanti, il caso del Sahara Occidentale mostra però di ricadere in una tipologia di identità diversa da quella illustrata fino ad ora, in quanto nel suo sviluppo non può prescindere da alcuni elementi provenienti dall’epoca della dominazione spagnola. La colonizzazione europea nel continente africano ha avuto infatti degli effetti incontestabili su istituzioni (nuovi Stati, Organizzazioni internazionali) e coscienze (popoli e minoranze). In particolare lo stabilimento di frontiere e il confronto con un sistema organizzativo istituzionale alternativo al modo di vita tribale, hanno fatto sì che anche la concezione di identità riprendesse una logica più “europea”. A conferma di ciò – dal punto di vista politico – la stessa decisione dell’Organizzazione dell’Unione Africana del 1964 di riaffermare il principio dell’intangibilità delle frontiere degli Stati risulta coerente con questa logica. Inoltre, lasciare la possibilità a ogni stato africano di rimettere in discussione tutti i suoi confini in ottica culturalista avrebbe aperto inevitabili scenari di conflitto e avrebbe cancellato artificiosamente una parte di storia – seppur traumatica – quale è stata l’esperienza della colonizzazione. La “logica meticcia” invocata da Amselle può essere invece utile nell’attualità dei conflitti interculturali, non solo negli ex paesi colonizzati, ma anche all’interno dei paesi colonizzatori – prima tra tutti una Francia che si trova a doversi confrontare con i suoi proclami di identità e la sua necessità di integrazione. La definizione di identità che sembra più valida é quella data da Malek Chebel:

“L’identità è una struttura soggettiva caratterizzata da una rappresentazione di sé, dedotta dall’interazione tra l’individuo, gli Altri – condizione preventiva perché ci sia effettivamente identità: riconoscersi Uno e essere riconosciuto come tale dagli Altri – e l’ambiente (come agente materiale dell’identificazione).

Questa rappresentazione è complessa: è il risultato di un’evoluzione psicobiologica da un lato e di un’impronta sociale dall’altro. L’identificazione dell’individuo agli ideali che gli sono proposti costituisce l’elemento dominante di un marchio che è contemporaneamente soggettivo e oggettivo, le cui basi sono genetiche, cognitive, strumentali e affettive.”

Seppur la categoria di individuo non appartenga in origine al sistema tribale, essa può essere presa pienamente in considerazione almeno sul piano teorico, tenuto conto dell’azione della colonizzazione spagnola e dell’azione intrapresa dal Polisario – passaggio che sarà analizzato sul piano sociale più avanti in questo scritto.

In più – per completare questa definizione – è utile riprendere Aime che, nella presentazione al libro di Amselle, cita Jean Cuisinier:

“L’etnicità di un popolo, ciò che gli consente di avere una identità di popolo, non risiede né nella lingua, né nel territorio, né nella religione né in questa o quella peculiarità, ma nel progetto e nelle attività che conferiscono un senso all’uso della lingua, al possesso del territorio, alla pratica di usanze e di riti religiosi.”

Così si delinea una sfumatura quasi teleologica nella nozione di identità, un fine. E’ il progetto avviato dalle varie élite a plasmarla, una volontà necessaria di autocoscienza che sia il presupposto di un’autodeterminazione politica. È chiaro che il senso del passaggio non va invertito: è partendo dalla coscienza dell’identità (l’evoluzione psicobiologica e l’impronta sociale del brano di Chabel), che si procede all’intento di esplicitarla (conferimento di un senso alle specificità del brano di Cuisiner) e successivamente declinarla in piani differenti – quello sociale e quello politico in primis.

Luca Maiotti

Seguirà La posta in gioco: introduzione geografico-economica del territorio

Il post precedente è al link Sahara Occidentale: conflitto e identità attraverso le storie di vita dei guerrilleros saharawi, L.Maiotti/1

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