Ago 4, 2014
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Tra Russia e Stati Uniti. Storia della Georgia indipendente, M.Antollovich/14 – La questione energetica

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By Marco Antollovich

Cap 2: La questione energetica

L’Azerbaigian: una nuova speranza

L’esistenza di giacimenti petroliferi nel bacino del Mar Caspio è nota ormai da secoli. La fuoriuscita spontanea di gas veniva considerata di natura divina. Alexandre Dumas, durante il suo viaggio nel Caucaso, descriveva l’esistenza di veri e propritempli, gli Atashgah, nei quali il gas fuoriusciva e ardeva per combustione spontanea,divenendo fenomeno di culto per gli zoroastriani.

Fu solo nel 1873 che i fratellisvedesi Alfred e Robert Nobel pensarono di sfruttare i giacimenti naturali di Baku,allora nell’Impero Russo, per dar vita a un commercio fiorente con l’Europa. Da allora, le risorse del Mar Caspio avrebbero suscitato un notevole interesse e avrebbero reso il Caucaso un’area di importanza strategica non trascurabile.

Al crollo dell’Unione Sovietica non esistevano gasdotti né oleodotti che potessero approvvigionare i mercati occidentali senza passare attraverso il territorio russo: le repubbliche di Azerbaigian, Kazakhstan e Turkmenistan erano infatti costrette a servirsi delle pipeline già esistenti per rifornire il mercato europeo.

Poiché la costruzione di “vie alternative” sarebbe risultata troppo costosa e politicamente pericolosa per i paesi della CSI, nei primi anni ’90, la Federazione Russa poté sfruttare la dipendenza delle neonate repubbliche per renderle sempre più indissolubilmente legate a sé da un punto di vista economico.

Fu questa politica di asservimento forzato che portò il presidente azero Heydar Aliyev a cercare nell’occidente un partner commerciale che potesse spezzare il legame con Mosca. Solo le grandi compagnie petrolifere americane e inglesi avrebbero infatti potuto fornire agli azeri il know-how e il capitale sufficiente per sfruttare i vasti giacimenti di idrocarburi del Caspio; in tal modo l’Azerbaigian sarebbe potuto diventare un fornitore in concorrenza con Mosca e non un suo dipendente.

E’ necessario tuttavia chiarire da subito che le risorse azere sono state sovrastimate per decenni: quella che si credeva fosse una vera e propria miniera d’oro nero, in realtà, non è che un piccolo attore: le risorse di petrolio azere costituiscono soltanto lo 0,4% del totale, mentre quelle di gas raggiungono lo 0,6% (fonte BP Statistical Review of World Energy, giugno 2012, pag 6; pag 20). Mettendo piede per la prima volta in Azerbaigian dopo il 1917, le industrie petrolifere occidentali intravedevano la possibilità di raggiungere, in un futuro, anche i mercati turkmeno e kazaco, di gran lunga più redditizi rispetto a quello azero.

Il 20 settembre del 1994 venne fondato l’AIOC (Azerbaigian International Oil Corporation), un consorzio internazionale dove Inglesi e Americani diventavano i maggiori azionisti, lasciando i Russi quasi completamente esclusi dal nuovo “bolsh’aya igra” azero (Bolsc’aya Igra, большая игра, non è altro che il corrispettivo russo di “Grande Gioco”).

Una via alternativa: l’isolamento russo

La perdita del controllo di una piccola pedina, quale Baku effettivamente era, da parte della Federazione Russa, avrebbe potuto avere per Mosca conseguenze drammatiche.

Non bisogna dimenticare infatti che le pipeline russe rifornivano monopolisticamente Armenia e Georgia e costituivano la più grande fonte di approvvigionamento di gas per Ucraina, Turchia, Est Europa e soprattutto per l’Unione Europea.

Il rapporto preferenziale che l’Azerbaigian aveva instaurato con l’Occidente sanciva la fine dell’egemonia russa nel mercato degli idrocarburi; il fatto per sé era importante, poiché creava un concorrente nel Caucaso, ma poteva avere conseguenze di gran lunga peggiori.

Il tutto dipendeva dalla disponibilità economica degli investitori occidentali i quali avrebbero dovuto, dopo la nascita dell’ AIOC, stabilire come e in quale quantità trasportare gli idrocarburi azeri nel mercato europeo. In base al successo delle future pipeline nel Caucaso, l’Occidente avrebbe potuto cercare di raggiungere anche la sponda est del Mar Caspio, chiudendo la partita con la Russia sulla “Grande scacchiera”.

Un elemento non trascurabile in questa analisi è rappresentato dal fatto che il 68,8% delle esportazioni russe è costituito dalla vendita di idrocarburi. Più l’Europa cerca di diversificare gli approvvigionamenti coinvolgendo un numero sempre maggiore di attori, più la Russia perde peso dal punto di vista internazionale.

Come già detto, le pipeline russe trasportano sì gas e petrolio prettamente russi, ma rappresentano l’unico mezzo attraverso il quale Kazakhstan e Turkmenistan possono raggiungere l’Europa. Queste due repubbliche dispongono di risorse energetiche sufficienti per mettere in discussione l’egemonia russa nell’Asia Centrale.

Secondo una stima pubblicata sulla BP Statistical Review sull’energia, le riserve petrolifere kazache rappresenterebbero ben l’1,8% del totale mondiale, e l’1% per quanto concerne il gas. Le riserve di gas Turkmene rappresenterebbero invece il 12% del totale, rendendo la repubblica il quarto produttore di gas mondiale.

Un dato che sarebbe opportuno tenere in considerazione è che, “anche calcolato con i prezzi degli anni ’90, la stima complessiva delle riserve di petrolio e gas [nel Mar Caspio] è approssimativamente di 5 mila miliardi di dollari”, il che rende il bacino del Caspio il secondo più ricco al mondo (Alice J. Barnes and Nicholas S. Briggs, The Caspian Oil Reserves, Edge, Inverno 2003, pag 13).

Considerando le immense riserve presenti nell’area, il vuoto lasciato dal crollo dell’Unione Sovietica poteva permettere alle nuove Repubbliche Centro-Asiatiche di creare legami più saldi con nuovi partner economici.

Dall’inizio degli anni ’90 ebbe pertanto inizio una vera e propria “politica delle pipeline”, in base alla quale la costruzione di nuovi oleodotti o gasdotti avrebbe plasmato le nuove direttive delle politiche estere delle neonate repubbliche.

E’ opportuno sottolineare che i cinque maggiori consumatori mondiali di idrocarburi sono Stati Uniti, Unione Europea, Cina, Giappone e India. Considerando che i suddetti stati possiedono soltanto il 3,1% delle riserve petrolifere del pianeta e l’8,4%115 di quelle di gas, è chiaro che la politica energetica sia il fulcro delle relazioni internazionali, sia politiche che economiche, di queste potenze mondiali.

La costruzione di pipeline che riforniscano direttamente i mercati cinesi sfruttando le risorse kazache e turkmene potrebbe lenire la dipendenza di Pechino dalle politiche russe. Allo stesso modo la costruzione di gasdotti e oleodotti che rifornissero i mercati europei, passando attraverso il Caucaso indipendente e la Turchia, costituirebbero una grave minaccia per la politica energetica condotta da Mosca.

La sfida per la costruzione di nuove pipeline avrebbe dunque avuto come obiettivo principale far sì che esse passassero al di fuori della Federazione Russa per tutte le cancellerie occidentali e all’interno, ovviamente, per Mosca.

Ragionando in termini economici, basti pensare che la costruzione della MEP (Main Export Pipeline) fortemente voluta dalla Russia, avrebbe potuto garantirle 5,5 miliardi di dollari di dividendi, 18,4 miliardi di tasse annuali e 900$ milioni di introiti derivati dal passaggio territoriale.

Considerando lo spessore dei potenziali introiti, il controllo delle pivotal areas sarebbe risultato fondamentale dopo la caduta del gigante sovietico.

Marco Antollovich

Seguirà Il ruolo del Caucaso

Il post precedente è al link Tra Russia e Stati Uniti. Storia della Georgia indipendente, M.Antollovich/13 – Gli USA e la Georgia, una democrazia di comodo

Foto: IspiOnline

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