Gen 7, 2020
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È l’indecisione politica il maggior rischio per i militari

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By Gen Vincenzo Santo

Mettiamo subito una cosa in chiaro. Gli Stati Uniti sono in guerra con l’Iran dal 1979. Precisamente dal 4 novembre di quell’anno, quando un gruppo di iraniani, pare fossero studenti, irruppe nell’ambasciata americana a Teheran prendendone in ostaggio 52 diplomatici. E fu un atto di guerra il tentativo maldestro di liberarli sotto l’amministrazione Carter; l’operazione Eagle Claw (artiglio dell’aquila) infatti fallì miseramente. Ma l’ostilità, aperta o meno, è continuata su vari dossier, da Israele al nucleare, e a oggi nessuno può veramente prevedere come andrà a finire.

Ciononostante, sulla morte del generale iraniano, qualche considerazione iniziale merita di essere fatta. Proprio all’osso, del tipo domanda e risposta. Domanda: Soleimani rappresentava un rischio per gli USA? Risposta: sì, messo a capo di un’organizzazione che pasceva terroristi della sponda sciita, e forse non solo, incluso Hezbollah. Domanda: un rischio per gli USA è anche un rischio per i suoi alleati? Risposta: altamente probabile. Domanda: andava quindi eliminato? Risposta: certo, prima o poi a costo di farne un martire. Domanda: perché prima o poi? Risposta: perché esistono delle priorità dettate dalla necessità di rispettare i tempi suggeriti dalla pazienza strategica, per cui sarebbe stato importante porsi qualche altra domanda, da parte di Trump e dei suoi: saremo in grado di gestire le conseguenze per noi e per gli alleati e, quindi, per la stabilità dell’Iraq e di tutta la regione? E siamo certi che il Parlamento iracheno non voti una mozione secondo la quale ci chiederanno di lasciare il paese? È già accaduto!

Io non so se si siano posti questo interrogativo e, in caso affermativo, che cosa si siano detti. L’impressione che ne ricavo è che temo che abbiano accelerato la curva della spiralizzazione senza essere preparati a sufficienza. Ma ipotizzo anche che l’uccisione possa aver costituito una sorta di trappola contro l’Iran per intraprendere un percorso senza ritorno, allo scopo di bloccare, una volta per tutte, i progressi verso il nucleare militare da parte di Teheran. Hanno quindi calcolato il rischio di un’accelerazione. Rischio calcolato.

Poi, infatti, si scoprirà che hanno preparato tutto per un possibile conflitto “regionale”. Del resto, cosa ne sappiamo realmente di quanti soldati americani siano schierati nel Golfo o di quanti assetti aerei? Si può a malapena scoprire che da quelle parti la USS Truman (Carrier Strike Group 75), con tutta la sua potenza di fuoco, ha appena sostituito quello della Lincoln (CSG 72) e che la US Bataan (Amphibious Ready Group – LHD 5), con la sua Marine Expeditionary Unit, potrebbe essere già nel Mar Rosso.

Ma il resto, ovviamente, è nell’ombra.

Gli americani non ci dicono quello che stanno per fare, figuriamoci se ci dicono quello che pensano. Facendo bene attenzione al fatto che non tutto quello che viene detto è ciò che si pensa realmente; così come quello che si pensa non è detto che venga tutto o anche solo in parte comunicato. Gioco di parole? Forse, ma in questo sta la differenza tra politica estera e affari esteri.

Le esternazioni di ogni tipo, con minacce di vendetta e ritorsioni da destra e da sinistra, fanno parte del gioco. Così come conta poco la scenografia dei funerali e le grandi manifestazioni di protesta.

Altra domanda: cadrà Teheran in questa supposta trappola? Risposta: tutto è possibile, ma se l’obiettivo strategico per gli ayatollah è quello di dotarsi dell’armamento nucleare è probabile di no; anche se la dichiarazione che procederanno all’arricchimento dell’uranio di per sè è una forte provocazione. Provocazione che tuttavia non cambia l’attività sul campo, dato che dubito che gli iraniani non lo stessero comunque portando avanti.

Poi, tutto può invece accadere e il contrario di tutto. Paura, interessi e senso dell’onore, tutti questi parametri individuati da Tucidide, o solo uno di essi, il senso dell’onore, possono tradire una facile logica. Paradossalmente, smaltita la rabbia, li potremmo trovare persino a ricontrattare un diverso accordo sul nucleare.

Dopo l’uccisione di Soleimani, la nostra stampa nazionale si è scatenata lungo due principali filoni. Il primo, alla ricerca di analisti di ogni tipo che potesse garantire a ciascuna testata di darle il numero vincente, cioè imbroccare la previsione di un conflitto imminente. Come al Superenalotto. Il secondo, con l’adozione del solito approccio paternalistico per il destino delle nostre truppe schierate nell’area: che rischi corrono i nostri ragazzi? Ragazzi, poi! Odioso termine da affibbiare a professionisti persino già avanti con l’età.

Riparliamo di rischio? Ma i militari sono addestrati e pagati per affrontare situazioni di rischio. Occorre solo vedere se quel rischio sia stato calcolato all’inizio di ogni operazione e ricalibrato periodicamente in funzione dell’evoluzione di una minaccia. Quindi, è stata mai fatta un’analisi del rischio? Se la risposta è no, allora già adesso – forse anche ieri – Ministro della Difesa, degli Esteri, Capo di Stato Maggiore della Difesa e Comandante del COI devono andare a casa. Se invece lo si è fatto, significa che si è accettato un grado di rischio per il quale, volendolo mitigare, va preparato per tempo un piano di contingenza, per esempio un’evacuazione.

Semplice, direbbe Clausewitz, anche se non facile, lui riconoscerebbe.

Tuttavia, va sgombrato il campo da qualsiasi dubbio che noi non si sia nella mischia sino al collo e non che, solo perché “italiani”, brava gente e pizzaioli, non abbiamo nulla a che fare con gli americani e, pertanto, si sia fuori da ogni possibile ritorsione iraniana. Se si è alleati lo si è anche nel rischio di essere attaccati persino ove si tentasse di prendere le distanze con comunicati risibili e con parole dolci.

Infatti, ricoprire un ruolo “non combattente”, in un conflitto non garantisce dal non essere attaccato. Mi viene in mente la buonanima di quell’italiano che, imbarcato come cuoco sulla USS Arizona, affondata dai giapponesi alle Hawaii, morì di primo mattino mentre preparava la colazione ai propri commilitoni, molti dei quali “combattenti”. Vado oltre, solo il fatto che si ospitino basi americane sul proprio suolo non esclude di poter rappresentare comunque un valido obiettivo. Anche per gli iraniani, se ne avessero possibilità e volontà!

Il problema vero è chiedersi, cari commentatori dei fatti, quali siano gli obiettivi strategici e che cosa ne stiamo ricavando in termini concreti, per cui abbiamo deciso di inviare tanta gente in giro per il mondo, disseminata in una decina di realtà operative. Cioè, in parole poverissime, che cosa ce ne sta venendo in tasca, dato che i costi li paghiamo noi?

E soprattutto, infine, considerati tutti questi impegni, molti dei quali a mio avviso esulano dal diretto interesse nazionale, siamo in grado di presentarci con le forze necessarie e con una tale determinazione da salvaguardare un nostro diretto interesse nazionale, come ritengo si debba fare già oggi per la Libia? O speriamo sempre che qualcuno ci indichi un tavolo di dialogo e magari anche che ci porga una sedia, se ce ne sono abbastanza?

È troppo facile e persino irresponsabile predicare una posizione attendista che, secondo le parole di [Luigi] Di Maio (da un suo tweet), è la sola che garantisca di non rischiare “… morte, terrorismo, ondate migratorie insostenibili …”, come se la storia non avesse insegnato l’esatto contrario. Frasi come “… stiamo facendo e faremo il possibile per garantire la sicurezza dei nostri militari, in raccordo con alleati e partner …”, rilasciate a Repubblica dal nostro [Giuseppe] Conte, dicono solo una cosa: non so che pesci prendere.

Sono queste non-convinzioni che generano incertezza sul ruolo da ricoprire per chi opera in ambienti a rischio e sono su queste non-convinzioni che i professionisti della stampa dovrebbero porsi degli interrogativi.

È l’interesse nazionale che conta, il rischio è inevitabile ed è sempre accettabile se calcolato!

Pertanto, infine, se proprio bastassero solo un tavolo e qualche sedia, è assolutamente inutile comprare navi, aerei o altro. Accontentiamoci solo di pattugliare strade, guardare qualche portone, raccogliere alcuni migranti per mare, fare qualche volo dimostrativo e tappare le buche romane.

Cioè, usciamo dalla storia!

Gen Vincenzo Santo

Foto: Soleimani nella combo di Huffpost

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Forze Armate · Sicurezza