Lug 15, 2013
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Lo stress del combattente

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By Rachele Magro

E’ indubbio che oggi un militare al servizio del proprio paese si trova sempre con maggiore probabilità di fronte ad eventi critici da gestire dal punto di vista fisico ed emotivo.

Gli scenari che la guerra asimmetrica pone di fronte al soldato sono inaspettati e necessitano di preparazione e conoscenza di se stessi e delle proprie reazioni. Prepararsi a determinate operazioni vuol dire addestrarsi e formarsi, in esperienze simulate, in modo più possibile aderente alla realtà, agli eventi che si potrebbero verificare, e nel contempo tempo mettersi da un’altra prospettiva e guardare ai diversi attori presenti nel possibile evento: noi stessi.

Per fare un esempio che ci riguarda da vicino, se sappiamo capire, studiando, come ci si allena per ottenere il massimo in una prova di corsa, a quali risorse attinge il nostro corpo quando esercitiamo uno sforzo e come dobbiamo regolare la dieta e il riposo per reintegrare, c’è da sapere che anche quando il focus non è la corsa, ma il combattimento, il discorso non cambia.

Ci possiamo addestrare nella prospettiva di un probabile evento, ma anche da quella del soggetto che si troverà ad affrontarlo: entrare dentro l’organismo del soldato, dentro noi stessi, per vedere cosa avviene in noi durante il combattimento e cominciare a conoscerci e sperimentarci con una consapevolezza nuova. L’intensità dello stress mentale derivante dal combattimento, è stata messa in luce da studiosi in campo psicologico e militare.

Essi hanno preso in considerazione diversi fattori di stress ambientale, e al contempo studiato le risposte fisiologiche del corpo legate al sistema nervoso simpatico, esaminando l’impatto delle ricadute, causate dal sistema nervoso ( parasimpatico) quando viene sovraccaricato.

Per capire questi concetti è utile sapere che il nostro sistema nervoso autonomo comprende il Sistema nervoso simpatico (SNS) e il sistema nervoso parasimpatico (SNP). La maggior parte dei nostri organi riceve impulsi sia dal SNS che SNP, che operano generalmente in modo antagonista l’uno nei confronti dell’altro: se ad esempio il SNS accelera il battito cardiaco il SNP a sua volta lo rallenta. Il SNS è anche associato alle reazioni allo stress (la cosiddetta risposta “attacco e fuga”) in quanto predispone il nostro corpo e la nostra mente a reagire a un pericolo percepito. E come lo fa?

– attinge energie dalle riserve immagazzinate nel nostro corpo;

– inibisce la digestione;

– aumenta le secrezione di epinefrina e norepinefrina;

– dilata i bronchi e i vasi cardiaci;

– fa contrarre la muscolatura.

È l’equivalente di un plotone avanzato che neutralizza la minaccia, quello che per primo guarda in faccia il nemico.

Il SNP è associato invece al rilassamento ed è spesso coinvolto nelle attività fisiologiche che incrementano le riserve di energia del nostro corpo (salivazione e digestione). E’ l’equivalente del personale di supporto logistico continuativo ad un’unità militare.

Di notte, mentre dormiamo, il SNP è dominante e noi siamo completamente privi di difese. Quando ci svegliamo raggiungiamo la cosiddetta omeostasi: un equilibrio tra i processi del SNS e SNP. E così ogni giorno il ciclo ricomincia, fino al giorno in cui stiamo improvvisamente in mezzo al fuoco di un’imboscata.

In tal caso, la risposta del nostro corpo è una totale attivazione del SNS, mentre i processi del SNP, come la digestione o la salivazione, vengono istantaneamente bloccati: “non ho bisogno di digerire, ho la bocca secca … mi serve forza nelle gambe, nelle braccia, devo essere presente a me stesso, ho bisogno di sentire le mie energie laddove mi servono”, una mobilitazione generale di tutte le risorse prende la direzione di un solo e unico obiettivo che è quello di sopravvivere. Superato il pericolo, poi, al rientro in base, un vero e proprio crollo, un black out , un “contraccolpo parasimpatico” di enorme portata.

Interessanti a riguardo sono le parole di uno tra i più grandi strateghi della storia “L’istante immediatamente dopo la vittoria è il momento di più grande vulnerabilità, quando le truppe si rilassano esse sono avvolte da un potente e devastante crollo fisiologico”: così Napoleone concedeva una facile e immediata vittoria al nemico e si preparava all’immediato contrattacco nel momento ritenuto più favorevole alla vittoria. Pensando Dottrina dell’Esercito potremmo dire che forse questa è una delle più efficaci interpretazioni dell’elemento “sorpresa” unita alla “mentalità aggressiva” del contrattacco.

Altro fattore importante è la produzione di adrenalina, in quanto la durata e la dinamica di un combattimento incidono sul suo circolo e sul suo smaltimento nell’organismo.

Ci sono contesti di combattimento in cui i militari si trovano coinvolti in scontri e sparatorie di breve durata, dopo i quali tornano ad un “apparente” normalità del servizio. Il circolo di adrenalina che avviene nell’organismo durante le suddette esperienze è diverso da quello che avviene ad esempio in un’operazione prolungata, dove l’adrenalina viene consumata fino all’ultima goccia. La stessa scarica di adrenalina, che dopo brevi scontri resta non completamente smaltita nell’organismo può essere la causa di disturbi del sonno e di difficoltà ad addormentarsi. Prima di dormire bisognerebbe placare l’accumulo di adrenalina. Per smaltirla completamente basta fare esercizio fisico, una corsa o sollevamento pesi, poi una doccia e tornare a letto.

Maggiore è lo stato di eccitazione e impegno richiesto sul lavoro, maggiore è potenzialmente il crollo parasimpatico che ci può debilitare nella dimensione privata e incrinare la vita familiare. Vi lasciamo immaginare quali le possibile conseguenze.

Quando si verificano scontri letali, gestire la crisi emotiva e psicologica conseguente all’evento può essere ancora più importante. Nei giorni immediatamente successivi a uno scontro a fuoco, un soldato può essere massimamente vulnerabile. Può essere talmente afflitto da privazione di sonno, confusione, incertezza, squilibrio psicologico, che rischia di reagire a un nuovo combattimento con un livello inappropriato di aggressività.

Il soldato che ha vissuto lo scontro dovrebbe riposare per tre o quattro giorni, in modo che possa riprendersi dall’evento: se non gode di questo lasso di tempo e incappa in un nuovo evento stressante, è esposto al rischio di gravi danni psicologici per via dell’accumulo di stress su stress.

Lo stress è un primario fattore distruttivo e inabilitante per un soldato. Uno dei migliori rimedi per la cura e il recupero dello stress è proprio il sonno.

Privarci del sonno è uno dei metodi infallibili per metterci fuori combattimento. La privazione del sonno è collegata a patologie psichiatriche come la depressione, incide negativamente sui tempi di reazione, le capacità di giudizio, la visione e l’elaborazione delle informazioni, la memoria a breve termine, la motivazione e la vigilanza, la pazienza.

Finire un turno di pattuglia in Afghanistan, rientrare negli alloggi e mettersi a giocare con i videogame o andare su internet è una vera forma di autolesionismo in quanto la privazione di sonno incide sul nostro sistema immunitario e sulla nostra vulnerabilità al DPTS (disturbo post traumatico da stress). Possiamo volontariamente privarci di sonno se la missione lo richiede, ma sarebbe stupido farlo quando non è necessario.

Altrettanto importante per la gestione dello stress del combattente è la conoscenza degli effetti psicofisici indotti dall’aumento della frequenza cardiaca in determinate situazioni. Gli stessi incrementi del battito cardiaco per minuto (bpm) indotti da sforzo fisico non causano gli stessi effetti.

Il soldato ha perciò delle capacità psicofisiche diverse, corrispondenti a determinati range di frequenza cardiaca che gli studiosi (Grossman) hanno definito “condizioni” associando ad ognuna un diverso colore.

Si definisce una “Condizione bianca” la zona in cui siamo inermi, vulnerabili, in un atteggiamento di negazione del pericolo: in poche parole, a riposo.

Quando saliamo a un livello basilare di allerta e prontezza, psicologicamente preparati al combattimento entriamo nella “Condizione gialla”. I cani, per loro natura dei predatori, raramente escono dalla zona gialla in quanto totalmente orientati alla sopravvivenza.

Non c’è una frequenza cardiaca associata alla condizione bianca o gialla, la differenza è più psicologica che fisiologica. Man mano che il livello di attivazione e di allerta cresce, è possibile associare ai livelli di frequenza cardiaca altre condizioni.

Nella zona compresa tra i 115 e i 145 bpm si è nella condizione ottimale di performance per la sopravvivenza o il combattimento, ovvero “condizione rossa”. Le abilità motorie complesse, sia statiche che dinamiche (correre, sbalzare da un ostacolo all’altro o rimanere perfettamente immobili o tecniche difesa corpo a corpo) e i tempi di reazione visiva e cognitiva sono ai loro massimi livelli, ma si inizia a pagare un prezzo: le abilità motorie fini (cambiare caricatore, disinceppare l’arma) cominciano a deteriorarsi.

L’impatto di queste condizioni su ogni individuo però può variare sensibilmente a seconda dell’addestramento, della forma fisica generale e di altri fattori. L’addestramento intenso e ripetitivo, attiva spontaneamente le abilità di cui abbiamo bisogno sotto forma di “memoria muscolare” . Così i cambi di caricatore, la risoluzione di inceppamento delle armi sono alcune delle molteplici abilità che bisogna assimilare fino a saperle attivare senza fatica e senza pensarci anche in condizione rossa.

Ci sono tre aspetti che costituiscono la competenze di un soldato e che la rendono integrata: sapere,saper fare e saper essere. Purtroppo in condizione di stress elevato il saper fare e il saper essere vengono così fortemente sollecitati che ne escono debilitati ed è il nostro sapere, quello scolpito nella nostra mente, che può venirci in soccorso.

E’ stato dimostrato che un soldato, quando è sotto stress indotto, aumenta la sua frequenza cardiaca fino alla soglia dei 145 bpm, superata la quale c’è un sensibile calo della performance, ma questo non vale per tutti : chi si è esercitato a livelli intensivi può restare in condizione rossa “tirando la corda” riuscendo a mantenere elevati livelli di performance anche a frequenza cardiache accelerate.

E’ questo “tirare la corda” tra i 145 e i 175 bpm, all’interno della cosiddetta “Condizione grigia”, che Ron Avery chiama “acclimatamento allo stress”: il concetto chiave è che un successo iniziale ottenuto sotto condizioni di stress consente di acclimatarsi a situazioni simili e promuovere futuri successi. Oppure si può prendere dalla psicologia il termine di “inoculazione dello stress” che si ricollega metaforicamente a quello di immunizzazione o vaccinazione contro le malattie fisiche, che prevede appunto l’inoculazione di dosi moderate di agenti patogeni.

L’acclimatamento allo stress prevede di dosare (inoculare) precisi quantitativi di stress alternandoli a fasi di recupero, e di ripetere questi cicli con una cadenza specifica e programmata.

Bisogna lasciare il tempo necessario per l’adattamento, ci vuole la giusta dose di addestramento, ripetuta nel tempo, così come di ricondizionamento e di rinforzo.

L’inoculazione dello stress ha importanti effetti a livello cognitivo. L’esperienza durante l’addestramento contribuisce a limitare la sorpresa quando poi la situazione si presenta realmente. L’addestramento, inoltre potenzia nel soldato la fiducia in se stesso, che è un altro importante aspetto emozionale legato all’inoculazione dello stress. Il senso di efficienza personale e di fiducia in sé, determinato da un addestramento realistico, è un potente riduttore dello stress tanto più quando scatta il “pilota automatico”della memoria muscolare.

Sembra inoltre che per l’inoculazione dello stress sussista un certo grado di travaso o di estensione. Così come imparare una lingua rende più facile apprenderne altre, l’inoculazione di stress in un’area favorisce un più rapido adattamento ad altri fattori di stress in altre aree.

Per apprendere efficacemente certe abilità e automatizzarle sotto forma di memoria muscolare o autopilotata, è importante che vengano insegnate, e che ci si impegni ad impararle, in un solo modo perché se si deve scegliere tra più opzioni si perde tempo e i tempi di reazione sono direttamente proporzionali alla quantità di opzioni.

Chi non si tiene in forma fisica e non si sottopone a un allenamento intensivo e ripetitivo è destinato a veder decadere le proprie abilità motorie complesse in Condizione grigia, oltre al manifestarsi di altri fenomeni, come la simmetria bilaterale : una mano tende automaticamente a effettuare gli stessi gesti compiuti dall’altra (presente nei neonati, in neurologia si chiama “riflesso d’allarme”) . Una delle reazioni è quella di chiudere le mani a pugno con una possibile pressione di circa 8 o 9 kg (approssimativamente il doppio di quella richiesta per premere il grilletto di una pistola).

Oltre i 175 bpm il soggetto si trova in condizione definita “nera”, nella quale si ha un decadimento dei processi cognitivi: le competenze supportate dal proencefalo (processi del pensiero) e dal mesencefalo (emozioni e riflessi) si deteriorano. Avviene inoltre nel nostro corpo:

– la perdita della visione periferica: un fenomeno noto come visione a tunnel . Maggiore è lo stress, più stretto è il tunnel. Si verifica anche una perdita della percezione di profondità (la minaccia sembra più vicina di quanto lo sia in realtà) e della visione ravvicinata (facciamo fatica a vedere le cose molto vicine a noi).

– esclusione uditiva: (livello corticale della percezione) la corteccia cerebrale esclude tutti gli stimoli lasciandoci percepire esclusivamente ciò che sembra indispensabile al nostro scopo.

Nelle nostre procedure tecnico tattiche l’allarme con l’utilizzo di sistemi visivi e uditivi è un modo per affrontare l’esclusione uditiva, che non sembra avere altri rimedi, mentre per la visione a tunnel, quando i nostri occhi sembrano incanalarsi in un tubo, basta girare fisicamente la testa ed eseguire una scansione del campo per uscirne.

Tutti questi effetti, di così ampia portata sul nostro corpo e soprattutto sulla nostra mente, sono condizioni che possiamo assolutamente gestire. La consapevolezza della loro presenza e che alcune nostre competenze possono venir meno, ed altre (prima messe da parte) possono invece venirci in soccorso, è uno strumento necessario per salvaguardare la nostra salute psico-fisica. Le nostre performance sotto stress possono migliorare, quindi, qualora abbiamo automatizzato un semplice set di abilità, ponendo enfasi su azioni che richiedono abilità motorie complesse e grossolane (contrapposte al controllo motorio fine), sottoponendoci a un allenamento intensivo, facendo un buon uso di quella che Grossman chiama la respirazione tattica (una semplice respirazione diaframmatica in quattro tempi che aiuta a tenere sotto controllo i battiti cardiaci).

Rommel disse: un addestramento di élite è il miglior premio per le truppe. Più sudate in allenamento meno sanguinerete in battaglia. E se lo dice lui bisogna crederci.

Tratto da On Combat di Dave Grossman con Lorenz W. Christensen- Edizioni Libreria Militare

Rachele M.Magro

Foto dell’autrice (illustrazione di Dave Grossman) e del Sidney Morning Herald

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