Set 24, 2014
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Sahara Occidentale: conflitto e identità attraverso le storie di vita dei guerrilleros saharawi, L.Maiotti/7– La Repubblica Saharawi Democratica

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By Luca Maiotti

Dai campi dei rifugiati alla guerra e all’offensiva diplomatica: l’azione saharawi

I Saharawi furono costretti a spostarsi in campi rifugiati provvisori in Algeria, che rimasero (e rimangono) provvisori da più di 40 anni. L’unico luogo disponibile fu l’hammāda, un altopiano desertico roccioso particolarmente inospitale, con escursioni termiche terribili (si passa da sotto zero a punte di 60 gradi).

“Voglio dirti una cosa. Hammāda, sai che vuol dire? Ah mad (“mādā” in arabo si traduce con “che”)… ah che freddo, ah che caldo.” (Intervista a Slama Amarna al domicilio di Ali Salek a Les Mureaux, Yvelines, Ile-de-France del 09-12-12).

Lì si stabilirono più di 65.000 persone divise in più campi, inizialmente a spese dell’Algeria (50.000 dollari al giorno), poi, 11 anni dopo, dai programmi del World Food Programme. L’arrivo di aiuti internazionali ha introdotto nell’alimentazione di un popolo nomade, abituato quindi alla consumazione di carne e non di grano, cibi a base di farina di frumento e di glutine. Ciò ha scatenato l’insorgenza della celiachia a livelli sproporzionati se comparati con il resto del mondo (5,6% tra i saharawi in confronto all’1% della popolazione generale (fonte http://www.celiachia.fvg.it).

Il primo inverno in particolare fu durissimo (bronchiti, polmoniti, diarrea, tubercolosi), vista l’inadeguatezza delle strutture, soprattutto dei rifugi. Nella fuga infatti la maggior parte dei saharawi non aveva portato con sé, o aveva abbandonato lungo la strada, la khaima, la tenda tradizionale adatta alla sopravvivenza nel deserto.

Nei campi si concretizzò l’ideale che aveva guidato le mosse del Polisario fin dall’inizio: la concezione dei Saharawi come di un solo popolo. Il 27 febbraio 1976 El Wali Mustapha Sayed, Segretario Generale e fondatore del Fronte Polisario, proclamò la nascita della Repubblica Saharawi Democratica, per colmare il vacuum giuridico che la ritirata degli spagnoli avrebbe innescato a partire dal giorno seguente.

La Costituzione, approvata circa sei mesi dopo, descrive la RASD come una repubblica democratica, in cui l’Islam era la religione di stato e fonte del diritto, e la cui capitale era El-Ayun (Artt. 1,2,3,4 della Costituzione della Repubblica Araba Sahrawi Democratica); il popolo saharawi, a cui appartiene la sovranità, è descritto come arabo, africano e musulmano e la cellula fondamentale della società è la famiglia, fondata sui valori dell’etica e dell’Islam (Artt. 6,7,8 della Costituzione della Repubblica Araba Saharawi Democratica).

Il passaggio non è solo istituzionale, ma codifica quanto affermato il 12 ottobre 1975, giorno dell’unità nazionale: l’abbandono del “tempo delle tribù” e l’inizio di un nuovo sistema sociale. Cambiarono i termini e i riferimenti, si scelse di caricare negativamente il mondo dei valori precedente per assumerne un altro fondato su un solo soggetto statuale e sociale. Gli stessi concetti di democrazia e cittadinanza, per esempio, non avrebbero trovato spazio nel mondo delle referenze del tempo nomadico. Si pone in atto una censura volontaria di tutto ciò che aveva legami con il passato, a cominciare dall’appartenenza della famiglia alla tribù, simbolo di divisione quindi di debolezza.

I campi dei rifugiati – grazie a un’organizzazione meticolosa e funzionale – furono uno spazio di crescita politica per la società saharawi. Agendo come base di un governo e una popolazione in esilio, furono il punto da cui partirono tutte le azioni votate al raggiungimento dell’obiettivo finale: la liberazione del Sahara Occidentale (per una migliore interpretazione dell’esilio saharawi cfr. Annaig Abjean, Zahra Julien, les jeunes sahraouis, l’identité sahraouie en questions, Paris, l’Harmattan, 2004).

Dal punto di vista militare i primi anni furono segnati dal disperato bisogno di armi adeguate: armati come potevano, con qualche fucile e dei Land Rover rubati, i combattenti ebbero come migliore alleato la conoscenza del territorio su cui si muovevano.

Uniti nella determinazione ferrea forgiata dalla politicizzazione del Polisario, i Saharawi recuperarono dall’insieme delle tradizioni passate l’etica guerriera. Nei campi rimasero solo bambini, donne e feriti gravi.

“Sono tutti al fronte, stiamo parlando di fierezza. E’ vergognoso restare con le donne nei campi, bisogna andare al fronte. Voglio dire ci sono parecchi uomini che magari preferirebbero restare, ma sono additati da tutti.” (Intervista a Brahim Ballagh nei dintorni di Ledru Rollin, 11 Arrondissement, Parigi del 16-12-12).

Con il passare degli anni il Polisario trovò un appoggio sicuro nell’Algeria,  nella Libia e in Cuba. Questi paesi diventarono patrocinatori della causa del Sahara Occidentale: oltre a fornire un appoggio logistico-militare e un supporto diplomatico, ospitarono gli studenti saharawi per le scuole superiori e le università.

La guerra si configurò immediatamente come guerriglia da parte del Polisario, visto il rapporto numerico degli effettivi saharawi e marocchini (da 1 a 6 nel 1976 diventerà 1 a 18 nel 1988, con la strategia del muro). In tale situazione il Polisario poté contare su due fattori determinanti, che presto si rivelarono decisivi, ovvero la determinazione nel raggiungimento dell’obiettivo e la migliore conoscenza del territorio. Con incursioni brevi e continue, mise in difficoltà, poi in ginocchio, un esercito convenzionale e molto ben equipaggiato, ma con materiale non adatto a un tipo di guerra  nel deserto.

La Mauritania non aveva un dispositivo militare e logistico sufficiente per entrare realmente in guerra, né per rivaleggiare con uomini che conoscevano meglio dei Mauritani stessi la zona dell’Adrar. Così fin da subito il giovane Stato mauritano si configurò come l’anello debole della coalizione degli occupanti, tanto che dal 1977 il Reale Esercito Marocchino dovette intervenire sul territorio stesso di Nouakchott. La pressione della guerra non tardò però a farsi insostenibile, così un colpo di stato nel 1978 rovesciò il presidente Moktar Ould Daddah e l’anno seguente si tramutò in un cessate il fuoco unilaterale. La pace con il Polisario fu firmata ad Algeri nel 1979 e il Marocco procedette a estendere il proprio controllo sulle zone del Sahara Occidentale prima occupate dall’esercito mauritano.

Lo sforzo bellico dell’Armata di Liberazione Popolare Saharawi fu coronato da una serie di successi che traevano forza dalla corretta interpretazione dell’ambiente in cui si svolgevano i combattimenti. Proprio per riconfigurare la modalità di conflitto, l’esercito marocchino dovette cambiare strategia, per cercare di costringere l’avversario a uno scontro frontale. Dal 1980 si impose l’idea della costruzione di una barriera che proteggesse prima il “Sahara utile” (le zone dei fosfati e le coste), poi le maggiori città. Il risultato fu l’edificazione in sette anni di una serie di muri (che risultarono poi integrati in uno solo, il Muro di Sabbia, per i Saharawi “Muro della Vergogna”) circondati da campi minati, dotati di sistemi di individuazione e pattugliati da più di 100.000 soldati. L’effetto più immediato di questo nuovo dispositivo militare fu un rallentamento degli attacchi saharawi, che non cessarono mai del tutto, ma si fecero decisamente più difficoltosi (soprattutto dal punto di vista delle perdite umane). E’ nel corso degli anni ‘80 che all’offensiva bellica del Polisario si affiancò l’iniziativa diplomatica per il riconoscimento della Repubblica Araba Saharawi Democratica, sempre favorita dall’Algeria. Il risultato migliore fu ottenuto probabilmente nel 1982 quando la RASD fu accolta nell’Organizzazione dell’Unità Africana (motivo per il quale il Marocco ne uscì). Ad oggi è stata riconosciuta da 85 stati, di cui però 33 hanno ritirato o “sospeso” il proprio riconoscimento.

Luca Maiotti

Seguirà Il cessate il fuoco e la “colonizzazione” marocchina

Il post precedente è al link Sahara Occidentale: conflitto e identità attraverso le storie di vita dei guerrilleros saharawi, L.Maiotti/6 – Autodeterminazione, Marcia Verde, Accordo di Madrid

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