Ott 3, 2005
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Operazione Nilo, la missione militare italiana in Sudan

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pubblicato da Pagine di Difesa il 3 ottobre 2005

Si sono schierati a Khartoum alla fine di giugno i 220 paracadutisti del 183° reggimento Nembo di stanza a Pistoia che partecipano all’operazione Nilo. Con il personale dei Carabinieri, del 7° reggimento trasmissioni e del 9° reggimento Col Moschin costituiscono la task force Leone, comandata dal tenente colonnello Marco Tuzzolino e inquadrata nella missione Unmis (United Mission in Sudan) delineata dalla risoluzione Onu n.1590 del 24 marzo 2005.

Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite è intervenuto a seguito del mancato rispetto dell’accordo di pace firmato il 9 gennaio 2005 tra il governo sudanese e il Sudan People’s Liberation Movement/Army (Splm/A) dopo 22 anni di guerra civile. L’accordo, firmato a Nairobi in Kenia dal vice presidente del Sudan Alì Osman Taha e dal leader dello Splm/A John Garang (morto lo scorso 30 luglio in un incidente a bordo di un elicottero ugandese), prende il nome di Comprehensive Peace Agreement (Cpa).

La risoluzione n.1590 ha previsto l’impiego di una forza militare multinazionale autorizzata a dare avvio alla missione Unmis: la Stand-by High Readiness Brigade (Shirbrig) con sede a Copenaghen. In questa brigata, che è nata nel 1997 e che costituisce lo strumento operativo dell’Onu, è inquadrato il contingente italiano che all’interno della task force opera a contatto con due unità multinazionali: una unità, composta da nove militari norvegesi, svolge compiti di assistenza sanitaria al personale del contingente italiano e del quartier generale dell’Onu; l’altra è un plotone di servizi danese composto da circa 35 persone.

La missione Unmis è basata sul consenso delle parti firmatarie del Cpa ed è finalizzata ad aiutarle nella realizzazione degli obiettivi delineati a gennaio: suddivisione dei poteri tra nord e sud; autonomia per il sud nei prossimi sei anni; regolamentazione delle spartizioni delle risorse naturali; sicurezza e ritiro delle truppe contrapposte nelle aree di occupazione.

L’intervento italiano si propone di assicurare l’unità e l’integrità territoriale del Sudan in via definitiva e nel rispetto delle diversità della popolazione. E’ una operazione di peace-keeping e ricade sotto il dettato legislativo del capitolo VI della Carta delle Nazioni Unite, che in questo genere di interventi non prevede l’uso attivo della forza. Le regole di ingaggio (Roe) sono adeguate a tali caratteristiche e delineate in termini di autodifesa.

I compiti dei militari italiani si esplicano nelle attività di difesa del quartier generale dell’Onu nella capitale Khartoum e dei due alberghi dove alloggiano i funzionari delle Nazioni Unite, oltre che nella protezione ravvicinata del comandante e delle persone da lui stesso designate. E’ prevista la costituzione di una forza di reazione rapida (Quick Reaction Force) in grado di far fronte a eventuali minacce nell’area di Khartoum.

E proprio in questi giorni sembra essere aumentata la tensione in tutto il Sudan. Fonti locali riferiscono di scontri avvenuti non solo nelle aree calde del paese, dove il conflitto non si è mai sopito, ma anche nelle strade della capitale. Ma mentre l’Unità di crisi della Farnesina avrebbe decretato lo stato di preallarme per l’ottantina di connazionali presenti in Sudan, le autorità militari riferiscono di una situazione tranquilla che consente di svolgere le attività quotidiane previste dai compiti assegnati.

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2005 · Forze Armate · past papers

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