Dic 30, 2022
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Forze Armate in scala: la Littorio in Africa, il carro M14/41 in versione Posto Comando

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By Mithra (LZ Scale Modeling)

Come accennato in un precedente articolo, durante la Seconda Guerra Mondiale lo scafo del carro medio prodotto dal consorzio FIAT – Ansaldo, venne utilizzato per una serie di varianti (più o meno fortunate), che diedero vita a una famiglia di carri armati e di semoventi di artiglieria che equipaggiarono il nostro Esercito durante il conflitto e in alcuni casi, anche, nei primissimi anni del dopoguerra.

Partendo da questa premessa, il soggetto di questo articolo è la versione del carro medio specificatamente ideata come Posto Comando per unità di artiglieria semovente.

Nel momento in cui sullo scafo del carro venne costruito il semovente da 75/18, il Regio Esercito identificò, anche, la necessità di realizzazione di specifici mezzi da utilizzare per svolgere la funzione di comando e controllo del fuoco, che avessero le stesse caratteristiche di mobilità e protezione dei semoventi.

La soluzione identificata fu quella di utilizzare, come base di realizzazione, il carro armato medio, essendo lo stesso modello dal quale era stato derivato il semovente.

Eliminata la torretta con l’armamento principale, lo scafo superiore a casamatta venne ricoperto con una lastra di acciaio balistico sulla quale venne ricavata una apertura circolare chiusa da un sistema di portelli rettangolari, inizialmente due ma subito modificati a quattro, con apertura cardinale.

Scafo, casamatta, motorizzazione, gruppo di riduzione finale, organi di trasmissione e di rotolamento, armamento secondario, rimanevano inalterati a seconda delle varie versioni che contraddistinsero lo sviluppo tecnico del carro medio (M13/40, M14/41 e M15/42).

Le varianti principali consistevano nella differente organizzazione dello spazio interno alla camera di combattimento, dove una volta eliminata la torretta e i suoi piuttosto ingombranti meccanismi di rotazione (circuito idraulico e pompa Calzoni), venne ricavato lo spazio sufficiente per installare un secondo apparato radio, i materiali tecnici per il tiro e gli strumenti specifici (telemetro e goniometro).

L’equipaggio era composto da quattro persone, di cui due, il pilota, e il marconista/addetto all’arma di bordo, abbinavano anche quello di specializzati al tiro.

Il telemetro poteva essere montato direttamente sul cielo della camera di combattimento grazie a due alloggiamenti predisposti sulle piastre frontale e posteriore di copertura della struttura superiore. Questo particolare rendeva minima l’esposizione del personale, contribuendo a mantenere, comunque, bassa la sagoma del mezzo. Il goniometro, invece, era utilizzato con il proprio treppiede posizionato, in genere, sulla parte superiore dello scafo o a terra.

Alcuni mezzi vennero dotati di una particolare attrezzatura realizzata sul campo che prevedeva l’installazione, mediante una serie di tiranti, di una scaletta a pioli (a uno o due montanti) terminante con minuscolo predellino che veniva usata dagli Ufficiali Osservatori quale osservatorio di fortuna per dirigere il tiro nel piatto deserto nordafricano.

L’escamotage si dimostrò tanto valido dal punto di vista tecnico che, sino alla fine degli anni ’80, nei reparti semoventi di artiglieria della Divisione Ariete ogni batteria aveva in dotazione, per gli M113 destinati al Nucleo Osservazione del tiro, una scala con tiranti e piastra di supporto per l’ancoraggio. A dire il vero la sua utilizzazione risultava un po’ macchinosa e richiedeva non comuni doti acrobatico-funamboliche, ma rappresentava una carta di riserva qualora non si fosse trovato di meglio (il Friuli abbonda di chiese con relativo alto campanile e questi fornivano un’ottima alternativa).

Se dal punto di vista tecnico il mezzo ebbe gli stessi difetti e pregi del carro da cui era derivato, dal punto di vista concettuale la sua riuscita fu eccellente. Il Regio Esercito fu il primo a utilizzare un simile accorgimento per la soluzione del problema della collocazione dei posti comando a bordo di un mezzo di pari caratteristiche dei semoventi, idoneo a seguire le unità di artiglieria in tutti i loro spostamenti, tale da rendere la funzione di comando e controllo del fuoco aderente allo sviluppo dell’azione. Altri eserciti, che nel nostro immaginario di nichilismo nazionale sono assolutamente più rispettati del nostro, non adottarono mai una soluzione di questo tipo, utilizzando realizzazioni basate su automezzi ruotati e spesso non appositamente dedicati al ruolo.

Da ultimo, vale la pena sottolineare come l’adozione di un modello di riferimento di base per lo sviluppo di un’intera linea di mezzi abbia rappresentato un ulteriore fattore positivo consentendo la semplificazione della catena logistica (ricambi, riparazioni e rifornimenti), caratteristica, anche questa, poco comune alla maggior parte degli eserciti durante la Seconda Guerra Mondiale.

E passiamo al modello adesso.

Il kit che ho scelto per la realizzazione del progetto è l’M13/40 della Tamiya (MM134 edizione 1974) coevo della realizzazione dell’Italeri.

Tre stampate in platica beige, cingoli in gomma rigida, una figura di capocarro in una improbabile uniforme (scartata a priori) decal per due versioni Regio Esercito – Ariete e Littorio – e una per un esemplare catturato e subito riutilizzato dagli australiani, tutto molto easy e senza particolari eccessi di fantasia.

La qualità generale della realizzazione del modello (misure generali, particolari costruttivi, dettagli) rientra nella norma per un kit di quegli anni, ma risulta inferiore al kit dell’Italeri che ha una migliore definizione dei dettagli, è meglio congeniato nelle sue fasi di costruzione e risulta complessivamente superiore.

Fedele al mio principio di modellismo sì, ma con un occhio ai costi e al divertimento del fare da soli, non ho acquistato aftermarket di nessun genere.

La costruzione è stata alquanto lineare; eliminata la torretta ho modificato il cielo della casamatta aggiungendo la piastra con apertura rotonda e i portelloni.

Volendo realizzare il modello con il vano di combattimento aperto e, quindi, pienamente visibile, ho intrapreso il processo di realizzazione degli interni. In questo sono stato facilitato dalla assoluta assenza di particolari interni che contraddistinguono il kit della Tamiya.

Essendo il carro medio (e suoi derivati) un soggetto che mi ha sempre interessato e stimolato, possiedo una ricca galleria di immagini, disegni tecnici e reference varie che mi sono servite da guida per ricostruire gli interni. Inoltre, ho riprodotto molti di questi particolari nel passato (gruppo motore, cambio e riduzione finale, posto di pilotaggio ecc. ecc.) e ne ho ricavato gli stampi, quindi, ho sempre a disposizione il necessario per riprodurre nel dettaglio gli interni del mezzo.

Diamo via al festival del plasticard, dello stucco e del materiale di recupero della magic box.

Ho riprodotto la bullonatura interna in corrispondenza dei vari punti di giunzione delle piastre della corazzatura, ho aggiunto il sistema di apertura e chiusura dei portelli di ispezione della trasmissione, alcuni cablaggi interni e ricostruito sia il posto di pilotaggio che quello del marconista /mitragliere con le due Breda e il sistema di brandeggio e recupero bossoli.

Il motore è stato riprodotto per colata utilizzando gli stampi che avevo creato precedentemente, così come i serbatoi del carburante, completati dai cavi del sistema idraulico dei filtri per nafta e olio.

Il tutto è stato completato dalle radio comprensive del cablaggio d’antenna, dai supporti per le due custodie del telemetro e del goniometro e da minori dettagli.

Il passaggio successivo è stato costituito dalla realizzazione del telemetro installato sul cielo della casamatta in posizione anteriore. Anche qui plasticard e materiali vari sono stati alla base della realizzazione dello strumento.

Il portello di sinistra del comparto motore è stato ritagliato e posizionato aperto in modo da far risaltare il motore e i dettagli interni. Il cavo di traino è stato realizzato con fili di rame di spessore minimo attorcigliati e rifinito con ganci e una catena in metallo. Il martinello idraulico posizionato nella parte posteriore sinistra al posto dell’alloggiamento per un rullo di riserva è stato rifinito con particolari in metallo.

Lo schema mimetico usato è stato quello classico, a una tonalità, color sabbia. Per rendere meno monotono il modello e per riprodurre gli effetti di impiego continuato in un teatro operativo arido, secco, privo di ostacoli o vegetazione, la colorazione ha seguito il seguente processo.

Dopo una mano di primer nero sono stati applicati, sempre con aerografo, un primo strato di rosso al minio il tutto stabilizzato da un paio di mani di semilucido della Tamiya. Sono seguite differenti tonalità di color giallo sabbia (dal più scuro al più chiaro). Tra uno strato di giallo e l’altro è stata effettuata una discolorazione mirata e progressiva in specifici settori mediante l’uso delicato di pennelli morbidi leggermente inumiditi che, sfruttando la caratteristica di solvibilità delle vernici acriliche, mi hanno permesso di riprodurre un effetto di usura particolare. Il risultato ha prodotto una mappa cromatica sulla quale poi, ho effettuato il vero lavoro di weathering utilizzando i colori ad olio.

Soprattutto per quanto riguarda la realizzazione dei mezzi terrestri sono concettualmente contrario all’uso di alcune delle principali tecniche che vengono proposte e adottate su larga scala (color modulation, washing esteso, chipping a due sfumature, pre e/o post shading) in quanto ritengo che producano risultati artificiali, conferendo al modello un look da set fotografico ma poco adatto a ricreare realisticamente le condizioni di verniciatura, gli effetti cromatici e l’usura cui è soggetto un mezzo.

Di conseguenza cerco di sperimentare vie alternative usando gli stessi strumenti ma con tecniche differenti. Le vernici a olio e i pastelli ad acqua rappresentano le soluzioni che al momento ho identificato e sulle quali sto lavorando per migliorare la mia tecnica.

Quindi, tutto il processo di invecchiamento, usura, impolveratura e sporcatura (l’inglese è assolutamente essenziale – weathering) è stato fatto con un lavoro a olio. Il processo è lungo e complesso in quanto richiede un’applicazione di strati, su strati, su strati, un controllo continuo con i riferimenti e l’uso di materiale di qualità elevata per ottenere gli effetti desiderati. Alla fine, però, il risultato mi ha completamente soddisfatto.

Le insegne riproducono un M14 /41 posto comando del VI gruppo del 133° Reggimento artiglieria della Divisione Corazzata Littorio e l’ambientazione lo posiziona in Tunisia tra la fine del 1942 e i primi mesi del 1943.

Per aggiungere un tocco di vita al modello ho usato alcuni figurini: i due Ufficiali sono della CRIEL Model (ormai non più attiva) mentre il Sottufficiale è della MiniArt Model. L’ispirazione per i cartelli stradali mi è stata data da una foto della mia galleria.

In conclusione, il modello ha corrisposto alle mie aspettative dimostrando che spesso non è necessario spendere cifre esorbitanti per riprodurre un mezzo storico. Certo, devi apprezzare il lavoro di ricerca e impegnarti per aggiungere qualche cosa di tuo e per avere il risultato che desideri.

Il carro medio che la nostra industria ha prodotto durante la guerra è stato un mezzo tutto sommato onesto, anche se non eccezionale, che nel primo anno e mezzo di guerra ha retto alla pari il confronto con il materiale omologo che i nostri avversari hanno saputo produrre. La mancanza di sviluppi successivi lo ha reso inadatto al combattimento con mezzi di una generazione diversa.

È importante, comunque, notare che, indipendentemente dalle limitazioni tecnico – progettuali della nostra industria, ci sia stata, da parte degli Stati Maggiori, la volontà e la capacità di identificare concettualmente le necessità funzionali per lo sviluppo di una componente corazzata moderna e tecnicamente adeguata, cercando di sviluppare ove possibile le varie componenti.

Lo sviluppo di un mezzo come il posto comando per unità di artiglieria semovente rappresenta proprio questa nostra capacità ed è bene ricordarsene quando, spesso, denigriamo quello che siamo stati e che adesso siamo.

Mithra (@LZScaleModeling)

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